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IL SE’ e la costruzione dell’identità

di Barbara Corte

 

Il “Sè” è un termine che definisce un concetto complesso e per certi versi paradossale, collegato strettamente all’identità personale.La parola Sè è usata spesso con connotazioni sostanzialistiche e spiritualistiche per indicare un’individualità, ciò che distingue e rende unica una persona, ma allo stesso tempo parlare di un Sè non ha senso senza il confronto con un’alterità che lo delimiti e lo separi dal non-Sé. Quindi, se da un lato il concetto di Sè è legato all’esperienza soggettiva, intima, introspettiva dell’individuo, dall’altro implica, per sua stessa definizione, una dimensione interpersonale a cui riferirsi: in altre parole il Sè esiste, assume significato e forma, solo all’interno di una relazione che ne individui i confini e gli attributi. Costruiamo infatti le nostre prime percezioni di noi stessi dal modo in cui gli altri ci percepiscono e dal modo in cui ci percepiamo nei rapporti con gli altri.Detto ciò, possiamo definire il Sè, più che come un’entità unitaria e stabile, come una posizione (relazionale), dalla quale l’individuo percepisce se stesso, gli altri e il mondo.In rapporto alle diverse esperienze di sè con l’altro, che iniziano dalla primissima infanzia e in seguito si integrano in funzione dei ruoli ricoperti nella società allargata, possiamo trovare una pluralità di rappresentazioni di Sè in ogni individuo differenti per centralità e chiarezza.Alcune rappresentazioni sono consce e riguardano il modo in cui l’individuo si percepisce e si racconta, altre sono inconsce, più primitive, preverbali, organizzate in schemi automatici che influenzano il comportamento. Per esempio, una persona può facilmente descriversi in relazione al genere, maschile o femminile, al ruolo lavorativo, alle funzioni ricoperte all’interno di un gruppo, ma le parti più intime di sè, legate alle prime immagini e sensazioni corporee, sono più difficili da ricordare e sono la base inconsapevole delle reazioni emotive immediate, delle scelte affettive, dei modi di sentirsi con sè e con gli altri. Un’identità stabile scaturisce dal senso di continuità e coerenza tra queste diverse esperienze di sè.Le prime rappresentazioni di sé iniziano a svilupparsi già nella vita fetale, grazie alle prime sensazioni tattili e uditive nel ventre materno.Fin dalle sue primissime fasi, lo sviluppo del Sé va di pari passo con l’evoluzione dell’interazione con la figura di accudimento. La madre riconosce e risponde prontamente ai bisogni del bambino dandogli un senso, si sintonizza sui suoi stati affettivi (per esempio attraverso il tono della voce o il movimento) e glieli restituisce in modo da dargli un significato, un’intenzionalità, favorendo nel bambino l’esperienza di esistere, come una cosa fondamentalmente buona, insieme all’esperienza di appartenere ad un campo relazionale più ampio come qualcosa di supportante. Se in queste esperienze primarie il bambino percepisce la sua esistenza come un problema, si sente isolato o aggredito dal campo relazionale, successivamente potrà perdere il contatto con il proprio sè, sviluppare strategie di controllo e difesa che lo porteranno ad avere percezioni scisse della propria identità e vissuti di non appartenenza o non riconoscimento nei confronti di alcune sue reazioni o scelte.  Nuclei di sè non riconosciuti, esperienze dolorose non integrate, rimosse, negate, possono portare più tardi a forme di disagio mentale.Le rappresentazioni dello stare con l’altro derivanti dalle precoci interazioni madre-bambino  vengono memorizzate nella memoria procedurale (quella che contiene tutte le risposte automatizzate) in schemi relazionali che verranno attivati in ogni altra interazione significativa. Tali modelli dirigono non solo i comportamenti e le emozioni ma anche l’attenzione, la memoria e i processi cognitivi (Main, 1985) e regolano il modo di intraprendere, gestire, interpretare tutte le relazioni interpersonali. Proprio su questi schemi si baseranno le aspettative future che sono parte fondamentale del concetto di Sè e riguardano come si comporterà l’altro nella relazione (disponibile, appagante, assente, sfuggente) e come sarà l’individuo stesso (competente, incompetente, amato, trascurato ). Questi schemi di essere con l’altro sono anche alla base di come siamo con noi stessi (incoraggianti, accettanti, svalutanti, giudicanti, ipercritici, esigenti). I momenti in cui l’individuo sta con se stesso possono infatti essere visti come momenti di interazione tra le diverse parti del proprio sè. La relazione con l’altro è quindi fondamentale in quanto è alla base della percezione di sè e della capacità di stare con se stessi. Individui che hanno avuto esperienze relazionali sufficientemente buone, confermanti, avranno maggiori possibilità di sviluppare un Sè autentico, integrato, maggiore capacità di autoregolazione, maggiore fiducia in sè stessi, maggiore competenza relazionale.Un Sè maturo presenta un’auto-organizzazione complessa che integra gli attributi e le esperienze in contrasto tra loro, rendendo possibile sperimentare un senso di continuità interna.Dove esistono problemi di personalità o disturbi psicotici il  Sè presenta scissioni, dissociazioni di simili significati opposti tra loro.Il concetto di Sè formato nelle primissime relazioni si arricchisce con le rappresentazioni successive, anche se tende ad essere piuttosto stabile. Infatti le informazioni su di sè vengono filtrate e interpretate in base al concetto di sè precedente. Ad esempio, se intimamente mi percepisco non degno di essere amato, darò maggior risalto alle esperienze affettive negative, usandole per confermare tale concetto di me e fraintenderò o sottovaluterò i segnali di accettazione degli altri. Inoltre la possibilità di sperimentare nuove esperienze positive, di padronanza e controllo, che possano migliorare il concetto di sè, è influenzata da ciò che può definirsi percezione della propria autoefficacia. L’aspettativa dell’individuo riguardo la propria capacità di essere efficace in una determinata situazione influenzerà la semplice scelta di impegnarvisi e il modo di affrontare eventuali ostacoli. Valutarsi non in grado di raggiungere determinati obbiettivi porterà a comportamenti di evitamento destinati a confermare le basse aspettative su di sè.In questo modo si crea un circolo vizioso che non permette di modificare la propria immagine Per esempio, gli individui con bassa autostima  vivono un conflitto vicinanza-evitamento all’interno delle relazioni intime. Da una parte cercano l’altro per accettazione e conferme del proprio valore, dall’altra dubitano che questi sentimenti esistano davvero e temono continuamente di essere abbandonati. In questo modo si comportano in modo ambivalente: ricerca attiva seguita da distanza fisica ed emotiva. I tentativi di proteggersi da una perdita potenziale interferiscono con il processo di attaccamento e intimità e con la relazione, minando la soddisfazione del partner e creando i presupposti per una profezia che si autoavvera.Avendo una matrice relazionale, il concetto di Sè può modificarsi solo all’interno di rapporti significativi. Dove le prime relazioni hanno minato l’integrità del Sè, favorendo un senso di incompetenza, bassa autostima ed autoefficacia, altre relazioni possono permettere lo sviluppo di rappresentazioni di sè diverse, più facilmente integrabili tra loro.La relazione terapeutica, con un professionista, empatico e congruente, che sappia  creare un clima di accettazione incondizionata può facilitare un esperienza emotiva riparatoria e permettere al soggetto di sperimentare nuovi modi di essere con l’altro, di rinarrare la propria storia di vita in funzione di un concetto di sè più stabile e integrato.

 

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