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Coppia e Famiglia, istruzioni per l’uso 

 

 

Luigi D’Elia

 

Premesse

Ciò che Zigmunt Bauman, il grande sociologo e pensatore della condizione Post-moderna, ha cercato di mostrare nel corso degli ultimi anni è stato che ad un incremento delle prerogative di libertà e autodeterminazione dell'individuo, tipiche delle società moderne e post-moderne occidentali, è conseguito un indebolimento del potere di validazione delle istituzioni sociali riguardo l'individuo stesso.In altri termini assistiamo negli ultimi decenni al progressivo smantellamento dei codici istituzionali e simbolici che definiscono sia l'idoneità sociale degli individui sia i suoi passaggi maturativi. A ciò va aggiunto il progressivo scardinamento dei codici comunitari (i motivi per i quali si convive con gli altri) che definivano, nel bene e nel male, appartenenze e identità. Risultato: sull'individuo ricade oggi un carico simbolico e operativo-procedurale che precedentemente era appannaggio delle istituzioni sociali, politiche e religiose, o quanto meno era significativamente sostenuto da esse.Dunque l'individuo si ritrova oggi a fare i conti, da solo, con attribuzioni di senso che riguardano sia i propri passaggi maturativi (infanzia-adolescenza-giovinezza-età adulta-mezz'età-vecchiaia-morte), sia tutti i compiti sociali (scuola, gruppi e culture extrafamiliari, lavoro, rapporti affettivi, coniugalità, genitorialità, etc..). Una missione praticamente impossibile se gestita in maniera solitaria. Questa breve premessa mi serve a disegnare la cornice dentro la quale, a mio parere, si devono inscrivere tutte le vicende che riguardano le prospettive di coppie e famiglie, e prima ancora, dei legami affettivi preliminari e successivi la formazione di coppie e famiglie.  Fuori da questa cornice diventano incomprensibili alcuni "nuovi" fenomeni contemporanei di "frammentazione" o di "faticosità" che a loro volta determinano le frequenti crisi di coppie e famiglie, che vengono surrettiziamente attribuite alla difettosità dei singoli membri. In un'ottica sistemica e secondo criteri epistemologici legati ai fenomeni complessi, non ha alcun senso e utilità un approccio riduzionistico che intervenga in maniera causalistica ed espiatoria sulla comprensione di tali fenomeni. Non esiste più infatti un'idea unitaria e condivisa di coppia e di famiglia e gli studiosi di scienze umane si affannano ad inseguire le definizioni di coppia e famiglia alla luce dei tumultuosi e caleidoscopici cambiamenti di assetto di strutture sociali precedentemente riconoscibili.Detto in parole povere, gli individui che si cimentano in progetti coniugali e genitoriali si ritrovano spesso da soli e privi di risorse, ed essere in coppia o in famiglia, sentirsi fautori e protagonisti di funzioni coniugali e/o genitoriali è diventato oggi un compito molto difficile al quale singoli e coppie fanno fronte con grande affanno. 

QUALI SONO LE PRINCIPALI CRITICITà? 

ALCUNE COORDINATE PER COPPIE E FAMIGLIE

Due culture familiari s'incontrano

Dobbiamo domandarci innanzitutto se sia corretto pensare all'incontro di due persone come ad un evento che riguarda due monadi isolate e due individualità totalmente autodeterminate e svincolate dalla loro storia o se dobbiamo piuttosto pensare a questo come all'incontro di due storie-culture familiari che si ritrovano a confrontarsi, attraverso i membri della coppia, su un terreno parzialmente nuovo, ancora tutto da coltivare.Ogni famiglia di origine infatti è portatrice di mentalità e visioni del mondo diverse e particolari, maturate nell'arco di generazioni che, come una sorta di matrice di riconoscimento, tende a lasciare il segno, più o meno profondo, nella generazione successiva. Non mi riferisco solo alle abitudini, consuetudini, appartenenze sociali o ideologiche, che rappresentano l'aspetto esteriore della matrice, ma mi riferisco agli aspetti più profondi e radicati nella storia familiare che riguardano le modalità relazionali, emotive e affettive, i valori familiari, qui intesi come strategie di successo, in ogni campo, sperimentate nelle generazioni precedenti, ma anche le ferite ancora aperte (traumi, insuccessi, elementi non metabolizzati e irrisolti del passato) che come "pratiche inevase" ancora impegnano le successive generazioni anche se apparentemente sembrano non riguardare loro. Tutto ciò si dipana nella storia di ogni famiglia in maniera unica e originale. Quando l'amore avvicina - fortunatamente - due giovani "estranei" facendoli giurare con parole di eternità su un reciproco patto di unione, gli elementi di novità e di speranza offuscano momentaneamente gli elementi di divergenza pur presenti. La regola dell'esogamia - regola universale di tutte le culture umane fin dagli albori che istituisce l'unione dei membri della coppia provenienti da gruppi umani non familiari - inscrive e promuove dentro ciascuno di noi la ricerca dell'altro/a complementare piuttosto che la ricerca del simile. Ma la ricerca dell'altro implica inevitabilmente un confronto, implicito o esplicito, della sua matrice con la propria. A volte tale confronto produce una dialettica innovativa e la costruzione di una realtà per certi versi originale (la nuova coppia, la nuova famiglia); a volte tale confronto corrisponde ad uno scontro nel quale ciascuna matrice familiare, interna a ciascuno, cerca di affermarsi sull'altra. Frequentissimo, infatti, è il caso di coppie coniugali che trovano su questo il campo di battaglia principale: il conflitto coniugale si configura come una sorta di "guerra di religione" nella quale le parti in gioco sono le rispettive famiglie di origine (suoceri e suocere) che con le loro modalità e abitudini, i loro veti incrociati invadono pesantemente lo spazio psichico e fisico della coppia.Ma bisogni di continuità e contiguità con la propria matrice familiare e bisogni di autonomia e cambiamento s'intersecano variabilmente nelle vicende delle coppie non trovando mai punti di equilibrio definitivi, e andandosi spesso a scontrare con un mosaico confuso di aspettative, vincoli, dipendenze, personali e familiari.Dietro due individui che s'incontrano vi sono dunque due lunghe storie transgenerazionali, spesso sconosciute nei loro aspetti salienti, due gruppi familiari di appartenenza portatori di due culture familiari, con i loro conflitti e le loro fortune, le loro rispettive fatiche d'integrazione che si diramano genealogicamente; ma vi sono anche complessi sistemi di lealtà affettiva tra genitori e figli, tra fratelli, tra nonni e nipoti sui quali si articolano e s'intricano i nuovi legami affettivi della coppia e della nuova famiglia. Il vero e proprio "patto" di unione avviene al livello delle rispettive "famiglie interne" (e qualche volta anche esterne) dei membri di una coppia. Ma come può avvenire la giusta "perimetrazione" dello spazio della nuova coppia o della nuova famiglia senza che questo si traduca in una impermeabilità e in una chiusura? Come si possono gestire le relazioni tra generazioni di famiglie?

 Le insidie dell'endogamia

 Se l'esogamia, prima citata, è quell'invariante culturale che orienta la scelta del partner in territori extrafamiliari, l'endogamia rappresenta la forza opposta e contraria, presente in varia misura nelle nostre culture familiari (soprattutto alla luce dei recenti e rapidissimi mutamenti socio-culturali che sembrano spingere gli individui verso una chiusura).Mutuo il concetto di endogamia da altre discipline confinanti, antropologia e sociologia che definiscono l'endogamia come l'orientamento a contrarre unioni fra appartenenti allo stesso gruppo etnico, sociale o familiare, mentre dal punto di vista psicodinamico l'endogamia si traduce in una tendenza conservatrice della psiche maturata in alcune culture familiari, e trasmessa alle generazioni successive, ad individuare all'interno del territorio psichico della famiglia stessa tutte le risorse atte ad assolvere alla maggior parte dei bisogni affettivi e relazionali, ma anche ai bisogni di sicurezza, di sussistenza, normativi, morali. Nelle mentalità endogamiche la famiglia di origine, oltre a diventare pressoché l'unica fonte affettiva, diventa anche una fonte legislativa assoluta, cioè autonoma dai codici culturali della società, una sorta di stato indipendente nel quale vigono leggi autoctone situate a volte molto lontano dalle consuetudini valoriali condivise. In tali mentalità si massimalizza il principio di appartenenza (fino a farlo diventare un vero e proprio sentimento di proprietà) tra i membri della famiglia: ciascuno sente fortissima ed esclusiva l'appartenenza agli altri membri della famiglia e contestualmente sente che gli altri gli appartengono ugualmente in maniera esclusiva. Una prima conseguenza di una struttura psicologica endogamica è la difficoltà a dialogare con altre mentalità, a farsi contaminare, una tendenza ad avere approcci ideologici ai problemi, quindi una difficoltà ad apprendere nuove competenze sociali, ma anche ad apprendere in genere strutture complesse. Un secondo punto è rappresentato dalla difficoltà nelle relazioni affettive e amorose, la difficoltà cioè ad integrare elementi extrafamiliari nelle strette maglie del proprio tessuto psichico: sembra che non ci sia molto spazio per nessun altro e ogni tentativo di "evasione" viene vissuto come grave atto di slealtà e come indebito tradimento verso la propria famiglia di origine. Un terzo punto critico e che le mentalità endogamiche tendono ad essere statiche e autoreferenti, a non evolversi, ma ad autoperpetuarsi difettando di adattabilità e flessibilità: le mentalità endogamiche tendono a costruire intorno a sé essenzialmente realtà familistiche. In sintesi, la tendenza all'endogamia psichica comporta un veto al comportamento esplorativo, una chiusura affettiva e una tendenza al disadattamento sociale a favore dell'esasperazione del "legame" familistico a scapito della "relazione".

Figliogconiugeggenitoregnonno:

diventare coniuge, diventare genitore

Questo flusso progressivo del ciclo vitale qui sinteticamente indicato - Figliogconiugeggenitoregnonno - non vuole minimamente proporsi come modello e tragitto ideale da dover seguire: ci si può sentire tranquillamente idonei e adeguati pur scegliendo di non entrarvi.Non c'è dubbio però che gran parte di noi, volente o nolente, ci entra e si ritrova dentro ad affrontare numerose questioni. Ma come detto nelle premesse, questi passaggi maturativi che fino a una/due generazioni fa erano generalmente regolati silenziosamente da impliciti sincronizzatori socio-culturali sia per le modalità di transito, sia per le specifiche funzioni di ciascun passaggio (non c'erano, fino a 50-60 anni fa, grosse crisi nel sentirsi ragazza "da marito" o ragazzo "da moglie", o nel sapere come si comporta un genitore o un nonno, o come si gestiscono le relazioni tra famiglia di origine e nuova famiglia), oggi sono stati delegati al singolo individuo il quale è costretto a gestirsi da solo un carico simbolico-procedurale immane, dovendosi di volta in volta "inventare" ciò che attiene ogni passaggio e ad ogni funzione, senza il conforto di riferimenti chiari. Diventa arduo dunque ogni singolo passaggio maturativo perché vissuto a volte come salto nel buio, come indebita complicazione della vita, come responsabilità intollerabile, come irreversibile scelta per la quale ci si ritroverà da soli ed incapaci a risolvere le varie gigantesche impellenze.Ciò che va innanzitutto detto è che i singoli ruoli-funzioni del flusso  - Figliogconiugeggenitoregnonno - non sono alternativi e successivi, come il vissuto immediato più comune porterebbe a credere, ma articolati e aggiuntivi: chi diventa coniuge non cessa di essere figlio; chi diventa genitore non cessa di essere coniuge e figlio; chi diventa nonno non cessa di essere coniuge e genitore.Entrare nella funzione coniugale, ad esempio, può invece spesso coincidere con l'idea di perdita irreversibile e catastrofica delle prerogative-certezze del ruolo-funzione filiale, ma per fortuna questo è soltanto un timore indotto dall'attuale clima sociale assai incerto. Si tratta in realtà di imparare a coniugare ed integrare, in una articolazione più complessa, i diversi ruoli-funzioni che si sovrappongono in uno scenario interno più ampio. Ma anche solo questo "sforzo di fantasia" può rappresentare oggi un compito ancora troppo arduo per taluni. A volte quindi la pratica di una vita di coppia, anche consolidata, non corrisponde affatto ad una posizione interna coniugale piena di ciascun membro. Una considerazione che si sente spesso fare, alla vigilia di una scelta coniugale o alla vigilia della nascita di un figlio è: <<come posso fare la compagna o il compagno, oppure la madre o il padre, se mi sento e sono ancora figlia/o? Non sono pronta/o, è un compito troppo alto>>.Oppure, quando si affrontano questioni delle giovani coppie stabili in uno stallo della progettualità, si sentono fare, tra le tante, queste considerazioni: <<lui/lei non si assume nessun impegno formale nei miei confronti>>; <<ci annoiamo l'uno dell'altro>>; <<mi sembra troppo esitante e dubbioso/a, forse non ci amiamo più>>; <<siamo diventati come fratello e sorella>>; <<io vorrei un figlio, ma lui/lei non ne vuole parlare>>; e così via.  Oppure, facendo ancora un passo indietro, quando l'individuo (più o meno giovane) si confronta con la difficoltà di approccio o di definizione o di alleanza con l'altro sesso, magari dopo una serie di tentativi fallimentari e deludenti, si sente dire: <<sento di non avere alcuna speranza di incontrare una persona adatta a me>>; <<non c'è nessuno all'altezza delle mie aspettative>> o viceversa <<non sono all'altezza delle aspettative altrui, sono fuori dal giro>>. Tutte queste considerazioni, ed altre ancora, molto comuni nei contesti psicoterapeutici, ma non solo, indicano, nei diversi momenti di vita dell'individuo, la faticosità del passaggio-articolazione figliogconiuge. Tra uno scenario certo, anche se angusto e privo di profondità prospettiche, ed uno incerto e laborioso diventa legittimo decidere di non decidere e  di rimanere fino ai 30-40 anni a casa coi genitori - dato ampiamente confermato dalle statistiche sociali degli ultimi anni e che ha assunto oramai carattere generalizzato - solo che le più comuni analisi su tali dati enfatizzano le incertezze socio-economiche tipiche dei nostri tempi, ma non approfondiscono le trasformazioni culturali del tessuto familiare di cui si fa riferimento qui.Un secondo passaggio-articolazione delicato riguarda quello tra coniugalitàggenitorialità. Anche questo transito, in epoche limitrofe a noi ancora lineare e scontato, è diventato oggi complicatissimo. Anche se giuridicamente una coppia può essere considerata una famiglia, dal punto di vista psicologico possiamo parlare propriamente di famiglia quando sono presenti almeno due generazioni. Oggi una sorta di angoscia generativa pervade molte coppie giovani e meno giovani, indipendentemente dal loro grado di "robustezza": anche per quelle coppie collaudate e stabili - compagni o sposi - il momento della decisione del concepimento è preceduto spesso da una crisi profonda del rapporto; per le coppie meno collaudate, ugualmente, la dichiarazione di desiderio di un figlio da parte di un membro è a volte motivo di separazione. La denatalità della nostra civiltà è infatti un dato ormai noto a tutti. Intanto va detto che l'attuale enfasi, per certi versi comprensibile, posta sulla consapevolezza della scelta e sulla solidità del desiderio in merito alla nascita di un figlio, è un fenomeno culturale piuttosto recente e sembra produrre piuttosto effetti paradossali e controproducenti: l'arrivo di un figlio in una neo-famiglia diventa sempre più una specie di "evento capitale" che viene investito da eccessive aspettative e timori.D'altro canto, se nei decenni passati la nascita di un figlio in una coppia sposata da poco attestava la nascita della famiglia stessa ed era unanimemente considerato una "grazia", un evento fortunato che "aggiungeva" qualcosa, oggi è avvenuto un ribaltamento di questo significato nel suo opposto: un figlio "priva" i genitori della loro autonomia e libertà di movimento, della loro possibilità di realizzazione socio-lavorativa (o quantomeno la frena) e casomai aggiunge preoccupazioni e sentimenti di responsabilità gravosissimi.Aggiungiamo a questo quadro psico-culturale le oggettive difficoltà prodotte dalla reale "inaccoglienza" dell'intera società verso i nascituri: problemi economici per le coppie giovani e mancanza di sostegno sociale, carenza di strutture, percezione di pericolosità per i bambini, sentimento di assenza di prospettive per il loro futuro, e così via. Insomma assistiamo ad una saldatura tra timori interni e difficoltà esterne, per cui affrontare la generazione e la generatività è diventato un problema enorme.In presenza di un eccesso d'incertezza la psiche umana si difende legittimamente proteggendo ciò che ha già come acquisito e, come detto, si arrocca recedendo su posizioni meno fluttuanti: la famiglia di origine o in alternativa la coppia stabile non generativa (ma potrebbe essere anche il lavoro), che diventano immediatamente territori psichici di rifugio (almeno nell'immaginario).Sono sempre più frequenti le situazioni di coppie fidanzate o sposate, anche da tempo, che decidono di non fare figli, ma ancora più numerose sono quelle coppie stabili e conviventi, che superati i 30-35 anni, dopo anni di silenzio e di rimozione, cominciano timidamente a porsi la questione della genitorialità trovandosi però del tutto impreparati ad affrontare un cambiamento di questo tipo. Altre coppie che invece ingaggiano interminabili querelle sul tema del decidere, ed altre coppie ancora che, una volta deciso di fare un figlio, vivono momenti laceranti e disorientanti. Il sentimento di "fondazione" che caratterizza lo spirito d'intraprendenza e d'innovazione dei neo-coniugi o neo-genitori, rischia così di essere meno presente nelle nuove generazioni. Ci si domanda a questo punto come mai, alla luce di questi attuali scenari, i figli continuino  a nascere lo stesso (anche se meno, come abbiamo detto)... Evidentemente, gli elementi del desiderio finiscono per fortuna comunque per prevalere su timori e incertezze.

Crescere (con) i figli

La nascita di un figlio rende tale la nuova famiglia, ma rende tali anche i genitori che possono, dopo questo evento, aggiungere alla definizione di coniuge l'appellativo di padre e madre. Ma la nascita di un figlio non determina ipso facto la maturazione di una genitorialità compiuta: essa è comunque il risultato di un processo di cui il figlio rappresenta una "buona occasione". Molti sono infatti i genitori che dichiarano di essersi sentiti tali solo anni dopo la nascita dei figli, laddove molte funzioni genitoriali sono intanto assolte dai nonni (oppure rimangono eluse). Come abbiamo detto, i genitori sono contestualmente figli e coniugi e spesso il loro essere e sentirsi ancora figli a tempo pieno rappresenta una fatica indebita in merito alla necessità di esplorare la propria nuova funzione di genitore.Ma sentirsi "fondatori" di una realtà chiamata nuova famiglia, anche se fa sempre più paura, rimane un'esperienza importantissima nella vita di un uomo o di una donna, dunque un'esperienza decisamente da consigliare. I nuovi genitori devono tra le tante cose, riuscire ad assolvere a numerosi compiti.

Senza la pretesa di essere esaustivo, vediamone alcuni:

 

Fornire ai figli un ambiente accogliente, fisico e affettivo.

Fornire ai figli due genitori presenti.

Fornire ai figli pochi semplici, ma granitici, principi educativi comuni ai genitori.

Fornire ai figli una vita sociale, cioè delle competenze sociali che lo rendano in grado d'interagire col mondo esterno.

Fornire ai figli le possibilità di riconoscere e coltivare le proprie inclinazioni. 

Fornire ai figli gli strumenti per esplorare la complessità della vita.

Fornire ai figli la possibilità di andare per la propria strada e di sentirsi, ad un certo punto, scomodi.

 

I novelli genitori imparano già dai primi anni cosa vuol dire accudire un essere umano totalmente dipendente da sé; imparano a sapere cos'è una preoccupazione genitoriale e a gestire le ansie; imparano cosa vuol dire fare degli errori; imparano a gestire le ambivalenze verso una creatura che si ama oltre ogni altra cosa al mondo, ma verso la quale, quando non ci fa dormire, quando ci perseguita coi suoi bisogni, quando c'inchioda alle nostre responsabilità, si provano anche sentimenti contrastanti.Nel corso della vita familiare, uno dei principali motivi di frizione tra i coniugi-genitori è l'educazione del figlio. Su questo terreno delle differenti visioni educative convergono facilmente precedenti contrasti della coppia relativi al confronto/scontro tra le rispettive culture familiari. I modelli educativi differenti diventano dunque l'estensione del conflitto già esistente tra i coniugi.Non si tratta di enfatizzare un'ideale e supposta identità di vedute tra i genitori, spesso frutto di una sorta di ragion di stato familiare ottenuta a scapito della personalità di un coniuge, o a scapito di una sana ed esplicita dialettica interna tra i coniugi, ma si tratta di comprendere che un accordo minimo su pochi ed inossidabili principi comuni e basilari è una condizione preliminare per un figlio che necessita di orientamento. I figli, inoltre, sanno da sempre di essere il collante della famiglia, ed esercitano questa funzione in ogni modo. In alcune situazioni problematiche accade a volte che il figlio diventi suo malgrado il crocevia, non solo di semplici malumori e o di tensioni di coppia (fatto questo inevitabile), ma anche di tentativi di uno o entrambi i genitori di tirarlo per la giacchetta. Laddove un genitore si sente solo ed incompreso può pensare di rivolgersi al figlio come ad un confidente privilegiato per le diverse lamentazioni comprese quelle relative al coniuge, o per ammansirlo e sedurlo con un patto di alleanza e di lealtà nel quale l'altro è escluso. A volte, quando ci sono più figli, queste alleanze diventano schieramenti frontali che trasmettono le spaccature coniugali anche al livello della relazione tra fratelli schierati inconsciamente con uno o con l'altro genitore. Questa condizione può determinare il posizionamento del figlio nel ruolo scomodissimo di ago della bilancia, dunque in una posizione di strapotere indebito in famiglia (che diventa prestissimo un boomerang per lo stesso figlio), ma anche in una posizione di inconsistenza ed inutilità assoluta nel momento in cui egli si rende conto che il vero oggetto del contendere è la relazione di coppia.Conseguenze ancora più preoccupanti per la salute mentale del figlio avvengono quando questa dinamica di mediazione impropria tra i genitori nella quale si ritrova un figlio si risolve col suo reclutamento in una pseudo-relazione esclusiva e paritaria nella quale viene annullata la differenza generazionale. Ogni forma di negazione del gap generazionale è veleno per la mente. Quando si parla di modelli educativi, è inevitabile fare riferimento a quelli, molto differenti, che ci hanno preceduto. Le nuove generazioni di genitori si sono contraddistinte come particolarmente discontinue rispetto alle precedenti in merito ai modelli educativi. Hanno legittimamente messo in crisi modalità e simbologie a volte rigide e repressive del passato, ordini istituiti formalistici, ruoli svuotati di spessore, e si sono spesso proposte come più consapevoli, innovative e alternative. Una frase che si sente ripetere oramai da alcuni decenni è: <<non commetterò con i miei figli gli errori che i miei genitori hanno commesso con me>>, e si pensa, quando si dice questo, alle privazioni, ai sacrifici, a volte alle vessazioni subiti durante l'infanzia in nome di una mentalità educativa austera ritenuta oramai superata e dannosa.In questa nuova ottica il bambino è stato investito massicciamente di speranze e aspettative trasformative come mai era successo in passato: in nessuna epoca come la nostra l'infanzia è diventata centrale e il bambino è diventato portatore di diritti sociali, di attenzioni affettive e morali, finalmente si riconosce al bambino la sua personalità, la sua mente, il suo essere "soggetto" ed il suo diritto a stare al mondo per quello che è. Ma in questa stessa epoca nella quale essere coniugi e genitori è diventato, come detto, complicatissimo, anche essere bambini sotto la lente d'ingrandimento di genitori ansiosi di riscatto e timorosi di sbagliare è diventato ugualmente difficile. Ci si può sentire come degli "oggetti da cristalleria", preziosi quanto si vuole, ma "oggetti" appunto, per di più fragili come il cristallo.Non a caso questa è anche l'epoca dei bambini-operai, dei bambini-soldato, dei bambini maltrattati e trascurati, dei pedofili ad ogni angolo, soprattutto in casa.Insomma, come ci spieghiamo che l'epoca che "scopre" e valorizza l'infanzia è anche l'epoca che la maltratta di più? Come ci spieghiamo questo doppio registro culturale così contraddittorio? Strana coincidenza. La risposta a questa domanda richiede un'analisi complessa che qui non c'è lo spazio per sviluppare. Mi limito a dire che tutto farebbe pensare a quello che molto semplicemente si chiama "cattiva coscienza".La "cattiva coscienza" è quella delle culture sociopolitiche prevalenti che non riescono in alcun modo ad ottemperare ai bisogni di bambini e famiglie, evidentemente troppo in contrasto con le loro reali missions.

 L'esercizio al racconto in famiglia:

storie difficili e storie che curano

Una caratteristica piuttosto comune, riscontrata in molte famiglie contemporanee, è la disabitudine al racconto: una sorta di veto alla trasmissione di storie e "miti" familiari, ma anche un'astensione più generale al dialogo tra le generazioni.La tradizione orale, che da sempre ha contraddistinto la nostra specie rappresentandone in qualche modo anche la sua fortuna, è stata recentemente soppiantata da altri dispositivi narrativi più impersonali.Sembra proprio che oggi non venga affatto valutata correttamente l'importanza della trasmissione di storie familiari, scambiata facilmente con lo sterile e noioso esercizio di retorica e reiterazione istituzionale, contraddistinto da valenze inautentiche e moralistiche, dunque immediatamente stigmatizzato dalle nuove generazioni. Ma non è certo a questo tipo di racconto, del tutto inutile, a cui ovviamente alludo qui, ma a quello che trasmette materiale psichico immediatamente utilizzabile, quello che infonde sicurezza e fornisce strumenti operativi alle generazioni successive. Questa notazione assume una sua specificità se pensiamo che nelle storie delle famiglie è possibile rintracciare non solo le criticità, ma anche le risorse vitali e terapeutiche.La prospettiva che qui viene proposta è quella che parte dal considerare la famiglia e l'individuo di cui fa parte, come il punto di arrivo di una lunghissima storia di cui nessun membro della famiglia è pienamente consapevole e portatore, ma a volte soltanto “esecutore”.L'individuo appartenente all'ultima generazione è dunque l’ultimo capitolo di una trama transgenerazionale che gli appare spesso oscura o sconosciuta. Partendo da  questa apparente impossibilità di visualizzazione da parte dei membri della famiglia delle vicende e delle connessioni storiche, è però possibile avere accesso al mondo familiare come se si entrasse in un territorio inesplorato: basta semplicemente cominciare a raccontare! Ed imparare ad ascoltare. Se prendiamo in considerazione le situazioni più problematiche, risulta a volte che le storie familiari, che giungono fino alle ultime generazioni, quando riescono ad essere finalmente raccontabili, sono quasi sempre storie che ad un certo punto s’interrompono, o meglio ancora, sono storie che s’impantanano in territori di non-senso, conducendo l'individuo a frenare, anche bruscamente, il proprio percorso maturativo e a bloccare ogni compito evolutivo personale e sociale. A volte la persona si isola, si chiude in casa, disimpara a lavorare, a studiare, a frequentare gli amici, a contattare i partners, ad interessarsi di aspetti creativi: entra in una circolarità “viziosa” nella quale esiste solo il disagio o certi sintomi, ultime vestigia di una comunicatività divenuta impossibile, residui tossici privi di significato, quasi come se alcune parti della mente fossero morte o danneggiate.Ciò che sembra avvenire è che l'individuo e, molto spesso, la sua famiglia non sono più in grado di leggere la realtà ed interagire con essa, come se la storia di cui sono portatori non consentisse di procedere oltre: qualcuno si ferma ai compiti adolescenziali fermandosi sul bordo della vita adulta o molto prima (studi, servizio militare, primi compiti sociali, lavoro, affetti, sessualità); qualcuno sembra andare oltre: sostiene i primi esami universitari, o si laurea, o si sposa, mette su famiglia, lavora più o meno stabilmente, ma all’improvviso sembra non riuscire più a sostenere i propri compiti.  Queste storie familiari, inoltre, contengono sempre dei traumi antichi o recenti: lutti, separazioni, trasferimenti, fallimenti economici, tradimenti, eventi incomprensibili e improvvisi, tentativi emancipativi andati a vuoto, frustrazioni, conflitti, castrazioni, umiliazioni, vergogne non metabolizzate. L’aspetto che invariabilmente, in tutte queste storie, è evidente agli occhi di un osservatore o di un terapeuta è che ciò che appare incrinato e compromesso è proprio il passaggio dell’individuo tra il mondo familiare e quello extrafamiliare-sociale, un passaggio - un ponte crollato - che non consente più gli attraversamenti che in precedenza sembravano più agevoli tra i due mondi. L'individuo “cade” o “recede” all’interno di una monoappartenenza che coincide con la propria storia familiare divenuta però una sorta di "storiellina" semplificata, insufficiente nel raccontare il mondo o parti essenziali di esso. L’individuo (e la sua famiglia) non maneggiano più i codici socio-culturali e si vedono costretti a raccontare una storia molto riduttiva di se stessi e della realtà circostante  Le ultime generazioni, dal canto loro, tentano di raccontarsi un’altra storia, la propria storia, una storia che disperatamente tenti di conciliare l'appartenenza alla propria pesante tradizione familiare ed i propri desideri emancipativi al di fuori del mondo familiare. Ma questo tentativo può segnare l’inizio del disagio allorché la capacità di comprensione e auto-terapeutica dell’individuo risulti carente o impossibilitata a svolgersi. Ma se la possibilità di raccontare/si le vicende critiche e contraddittorie può già condurre ad un certo sblocco e ad una maggiore consapevolezza, occorre dire che ogni famiglia possiede per fortuna ben altro catalogo di storie paradigmatiche, strategiche e positive, che ugualmente continuano ad essere generalmente taciute e celate alle generazioni successive.  Come mai? Semplicemente si è perduto il senso profondo dell'utilità di questo dispositivo umano. Occorre dunque provare a recuperarlo.

 

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