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“Sindrome” dell’extra Y e Disturbo Borderline di Personalità:

un caso clinico

A. Didonna, A. Lombardo, M. Biondi, P. Pancheri

III Clinica Psichiatrica Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

In questo lavoro gli autori presentano un caso raro di associazione della trisomia XYY e Disturbo Borderline di Personalità (secondo il DSM-IV), evidenziando tale particolarità, essendo questa anomalia genetica riscontrata molto frequentemente in soggetti maschili con Disturbo Antisociale di Personalità, spesso condannati per crimini violenti.Il comportamento dei soggetti XYY è stato oggetto di studi e controversie fin dal 1965, i quali hanno sottolineato un alto tasso di aggressività precoce e violenza eterodiretta, legato direttamente alla presenza del cromosoma sovrannumerario. I soggetti affetti da tale “sindrome” presentano inoltre, secondo i dati riscontrati in letteratura, altre caratteristiche peculiari quali alta statura e robusta costituzione, un livello intellettivo inferiore alla norma, l’assenza di sentimenti di colpa, comportamenti manipolativi motivati da desideri di potere, profitto o guadagni materiali e una bassa scolarità. Dall’osservazione di questo caso in studio emergono invece differenti caratteristiche di personalità che non depongono a favore della predisposizione alla delinquenza e alla sociopatia, determinata dal cosiddetto “cromosoma del crimine”. Gli autori si soffermano a considerare uno squilibrio dello sviluppo psicofisico come fonte di inadeguata elaborazione del proprio schema corporeo e della conseguente reazione impulsivo-aggressiva, in questo caso autodiretta. La valutazione diagnostica ha consentito così l’ottimizzazione dei risultati farmacoterapeutici, tenendo conto dell’atteggiamento ambivalente del paziente nella compliance.

INTRODUZIONE

Il single case che presentiamo offre uno spunto di riflessione riguardo la personalità dell’individuo con “sindrome” genetica dell’extra Y. Si tratta di un caso raro di associazione tra tale “sindrome” e Disturbo Borderline di Personalità. La condizione XYY è un’anomalia dei cromosomi sessuali, che comporta scarse modificazioni fisiche: i maschi affetti possiedono un cromosoma Y sovrannumerario ed un’altezza media che supera 1,80 m. Viste le limitate caratteristiche fisiche, è stata perfino messa in discussione l’applicabilità stessa del termine “sindrome”. Essa è stata descritta per la prima volta trenta anni fa da Sandberg (1) è la sua prevalenza è stata stimata essere di 1/1000 neonati maschi (2). Da allora sono stati effettuati diversi studi con risultati spesso contrastanti, specialmente riguardo il comportamento dei soggetti affetti.Da studi realizzati nelle carceri è stata evidenziata una prevalenza maggiore di tale anomalia cromosomica di dieci volte, tra i detenuti, rispetto a quella riscontrata alla nascita, suggerendo l’ipotesi di un maggior coinvolgimento in comportamenti criminali con manifestazioni aggressive eterodirette da parte di tali soggetti. Essi presenterebbero infatti un alto tasso di aggressività precoce, legato direttamente alla presenza del cromosoma sovrannumerario. Fu inoltre osservata una corporatura superiore alla media (3) ed un livello intellettivo inferiore alla norma (4). Da queste prime ricerche sarebbe nato lo stereotipo del soggetto “alto, violento ed eventualmente di intelligenza inferiore” ((4,5).Il fatto di aver comunque esaminato preferenzialmente uomini alti ha comportato dei bias di selezione con una conseguente sovrastima della prevalenza. (5) Inoltre non sarebbero stati presi in considerazione altri fattori confondenti dei detenuti quali il livello di funzionamento intellettuale e il livello di istruzione raggiunto e il campionamento sarebbe stato insufficiente. I soggetti venivano reclutati esclusivamente dalle istituzioni carcerarie e i gruppi di controllo erano inadeguati. (6). Uno studio più rigoroso condotto da Witkin (7), mostrava una prevalenza dello 0.28% della “sindrome” dell’extra Y tra soggetti di alta statura nella popolazione generale, in Danimarca.. Il 42% di questi individui erano imputati per crimine, tuttavia , una volta approfonditi i piani socioeconomico, intellettivo e della scolarità, emergeva una riduzione della quota di criminalità. La tipologia dei crimini commessi riguardava soprattutto atti rivolti contro la proprietà, mostrando una totale assenza di interiorizzazione delle norme sociali (piccoli furti, furti d’auto, violazioni di domicilio, incendio doloso, peculati e così via).Tra i soggetti XYY era stato comunque riscontrato un maggior tasso di condanne, rispetto ai soggetti XY ed una altezza maggiore, che gli autori non correlavano tuttavia con la criminalità. Un altro dato importante riportato è quello relativo all’indice del livello di istruzione e di intelligenza che risulta essere significativamente inferiore ai maschi XY, riguardando ancora di più gli individui con precedenti . Naturalmente ciò non implica necessariamente che i soggetti con minore livello di funzione intellettiva commettano più crimini, in quanto potrebbero essere catturati con maggiore facilità. In ogni caso i dati danesi sembrano indicare che l’alto tasso di criminalità fra i maschi XYY sia dovuto al leggero deficit di funzionamento intellettivo.Già da questa osservazione si evince la necessità di contrastare le opinioni correnti al tempo sulla “sindrome” che tendevano a stigmatizzarne gli individui affetti, condannandoli in maniera arbitraria e ipergeneralizzata, anche grazie al contributo delle stampa scandalistica. In alcuni casi si è giunti alla decisione di interrompere la gravidanza, alla notizia dell’alterazione cromosomica (7,25). Sulla base degli studi scientifici preliminari erano stati addirittura proposti screening di massa dei neonati per un’individuazione precoce di tali soggetti, allo scopo di poter intervenire con misure educative, assistenziali e riabilitative contro il supposto “istinto ad uccidere”. Tale aggressività “innata”, da altri autori (7,5) è da considerarsi quale manifestazione diretta delle presenza di un cromosoma sessuale sovrannumerario, che determinerebbe alterazioni aspecifiche del sistema nervoso centrale con conseguente livello intellettivo limite, essendo ciò presente sia in soggetti XYY, che in pazienti affetti dalla sindrome di Klinefelter (XXY).Noel (8), successivamente, utilizzando diversi test psicologici e di intelligenza, non trovò alcuna evidenza di livelli inferiori alla norma di intelligenza o di particolare aggressività eterodiretta nel gruppo degli individui XYY esaminati. Al contrario Theilgaard (9) evidenziò tale legame ed in particolare notò come l’aggressività fosse diretta nei confronti della moglie. Hook (2) propone di considerare come rilevante nel comportamento l’aumentata impulsività, piuttosto che un livello maggiore di aggressività eterodiretta. Da altri autori (10) vengono menzionate ulteriori caratteristiche quali l’immaturità, l’instabilità emotiva, la bassa tolleranza alla frustrazione e ancora l’impulsività, sebbene non sia stato effettuato uno studio controllato.La necessità di approfondire il supposto legame tra una condizione psicopatologica e il genotipo XYY, è evidente anche in campo criminologico: troppo spesso in passato si è attribuita con estrema facilità l’infermità mentale a tali soggetti, soltanto in virtù della loro condizione genetica. A tale proposito Freyne (11) riporta la discussione nel campo psicosociale che contribuirebbe al manifestarsi delle fantasie aggressive nei confronti di persone. Ancora oggi diversi studi sembrano confermare un legame diretto tra la “sindrome” e una storia criminale caratterizzata da manifestazioni aggressive dirette contro persone o contro la proprietà, con assenza di sensi di colpa (12-13-14) che sembrerebbero ascriversi ad un quadro antisociale di personalità (secondo il DSM IV).Al contrario altri autori non hanno riscontrato nei loro studi una tale correlazione (15), ipotizzando diverse soluzioni quali un possibile ruolo di un aumento di testosterone in circolo, poi smentito dagli stessi, o(6)una certa variabilità di espressione di queste caratteristiche (16).Il caso che presentiamo riguarda un paziente affetto da “sindrome” XYY con un Disturbo Borderline di Personalità che si pone proprio in questo ambito e riveste un particolare interesse clinico, suggerendo alcuni spunti di riflessione per la formulazione di nuove ipotesi interpretative sugli eventuali rapporti esistenti tra l’anomalia genetica e disturbi di personalità.

Descrizione del caso

Il paziente è un giovane di 21 anni, giunto in visita all’ambulatorio della III Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, inviato dal pediatra curante, a causa di rilevate “turbe psichiche a contenuto aggressivo”.Il medico indicava inoltre la presenza di un cariotipo XYY, riscontrato in epoca precoce dello sviluppo del paziente. L’anamnesi raccolta durante un primo colloquio individuale, evidenziava alcuni elementi esplicativi, risultando tuttavia negativa per malattie psichiatriche. Il paziente vive con i propri genitori; gli altri germani con le proprie famiglie acquisite. E’ nato da parto eutocico e l’allattamento è stato materno. Durante la fanciullezza la madre, pensando che il figlio fosse affetto da patologia ipofisaria non meglio precisata, a causa della sua struttura corporea, lo portava in visita presso uno specialista endocrinologo; sarebbe stata in seguito accertata la “Sindrome” dell’extra Y. Il paziente ha frequentato regolarmente, ma con scarso profitto, la scuola dell’obbligo, manifestando poca motivazione agli studi e una certa difficoltà nell’instaurare relazioni sociali con il gruppo dei pari, che a sua detta, sottolineava la sua “singolarità” nella costituzione fisica. Già durante l’adolescenza comincia ad evidenziarsi l’atteggiamento ambivalente assunto nei rapporti interpersonali, non solo nell’ambito delle amicizie: gli insegnanti venivano esaltati o svalutati in diversi momenti, secondo una modalità oscillante e discontinua. Le stesse dinamiche relazionali possono essere riscontrate all’interno del contesto familiare. Anche nei rapporti con i genitori si nota la stessa ambivalenza, il paziente ricerca la loro vicinanza, ricevendone, a sua detta, un “rifiuto”, accusandoli di “non essere capaci di comprendere i suoi reali bisogni”. Tale sentimento lo prova anche nei confronti del fratello maggiore, che non lo avrebbe aiutato nell’inserimento nel gruppo amicale e nel migliorare il clima relazionale con i genitori. Delle due sorelle maggiori, entrambe sposate, il paziente accenna soltanto. Ha conseguito la qualifica professionale di litografo, dopo aver frequentato tre volte la prima classe e le altre due regolarmente, proseguendo gli studi presso la stessa scuola per il raggiungimento del diploma finale (alla fine del quinto anno), che però non ottiene. E’ stato esonerato dal Servizio Militare, a sua detta, in seguito agli accertamenti medici. Si dedicherà in seguito ad una saltuaria attività di arbitraggio, presso una società sportiva di pallavolo, resa difficoltosa da frequenti litigi con i partecipanti alla partita. Non riferisce alcun rapporto affettivo, nemmeno di tipo superficiale, lamentando una propria incapacità nel proporsi affettivamente, ritenendosi “timido, impacciato e brutto” e per paura di essere “rifiutato”. Non ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti, non beve alcolici, né fuma. All’ingresso in ambulatorio il paziente, di alta statura, appariva sovrappeso, di aspetto adeguato alla circostanza, la postura è piuttosto curva e rigida, l’atteggiamento nel complesso disponibile, ma con note di reattività, irascibilità ed impulsività che lasciano intravedere un temperamento irritabile. Queste caratteristiche di instabilità e ambivalenza riemergeranno fortemente durante il rapporto terapeutico ed in particolare riguardo alla compliance farmacologica: il paziente accetta di buon grado la terapia in un primo periodo, per poi sospenderla in parte di propria iniziativa, rompendo addirittura a relazione terapeutica. La motivazione che conduce il paziente in visita è l’inadeguata elaborazione dell’esito dell’anno scolastico (la non ammissione agli esami finali), in alcuni momenti vissuto come “sconfitta meritata”, con l’espressione di sentimenti autosvalutativi e di colpa, in altri, come “ingiustizia” impartita da insegnanti “che non l’hanno saputo capire”. Il paziente fa aperta richiesta ai clinici di trovare uno spazio per essere ascoltato e compreso, lamentando “tristezza, risentimento” e bassi livelli di autostima. Egli non nega, né nasconde che questi sentimenti con le conseguenti manifestazioni comportamentali sono sempre stati presenti: infatti avrebbe mostrato atteggiamenti autoaggressivi fino ad arrivare al tentativo di suicidio, avvenuto all’età di sedici anni, in seguito ad un litigio col padre, a sua detta, per un’offesa subita. L’episodio viene ricordato con toni d’ira, rammarico, tristezza, amarezza e “odio”. Il paziente sottolinea la facilità con cui si trova in contrasto con i genitori e le frequenti discussioni, nonostante una forte suggestionabilità; tuttavia riferisce di non aver mai agito il proprio sentimento di rabbia, se non verbalmente (“non ho mai fatto a botte, perché non voglio essere abbandonato”). Sebbene quindi mostri una certa reattività nei confronti delle “imposizioni” genitoriali, il più delle volte finisce per subirle, perché si sentirebbe in colpa se non è conforme al ruolo in cui viene identificato. Rimprovera ai genitori di essere il loro “caprio espiatorio”, mostrandosi rivendicativo e oppositivo nei confronti di accadimenti ormai remoti, che ricorda in dettaglio, come anche nei riguardi del loro attuale atteggiamento, a detta del paziente, di scarsa collaborazione nella ricerca di un lavoro. Trattando la problematica del lavoro riemergono sentimenti abbandonici, poiché i familiari “non gli troverebbero un lavoro che a lui piace”. Non sembra disposto ad accettare una qualsiasi attività lavorativa, mostrando un’evidente ambivalenza, quando afferma che sarebbe felicissimo di trovare un impiego di pulizie. Decide pertanto di aspettare in maniera passiva una risposta dall’unica struttura lavorativa, presso cui si è rivolto. Anche nelle relazioni sociali con i coetanei, ricercate all’esterno della famiglia, dove si sentirebbe “limitato”, incontra grosse difficoltà: tende infatti a ripetere le stesse modalità sadomasochistiche di rapporto. Sperimentando un nuovo rifiuto, viene presto emarginato dai coetanei, allontanandovisi e accrescendo sempre più la propria convinzione che il suo “sia l’unico modo giusto” di stare con gli altri. La non accettazione dei compagni viene elaborata in termini persecutori e comporta un maggior senso di inadeguatezza, riconosciuto con difficoltà dal paziente, che si rifugia nuovamente in famiglia, in una situazione che comincia ad “odiare”, ma che gli fa comunque meno paura dell’esterno. Gli insuccessi sperimentati sia con le amicizie, sia con le ragazze appaiono strettamente correlati all’immagine negativa del proprio schema corporeo. Il paziente non accetta la propria costituzione fisica, mostrandosi fortemente critico circa il suo aspetto estetico, che gli viene spesso sottolineato dagli stessi genitori (il paziente lamenta al riguardo un profondo senso di vuoto, tale da averlo spinto a gesti autolesivi). Tuttavia l’immagine complessiva di sé è complessivamente instabile, considerati i marcati cambiamenti di atteggiamento e di considerazione delle proprie risorse e abilità. Il paziente tende in alcuni momenti a sottolineare i propri punti di forza, nello svolgere le attività in cui si impegna ( “tutti mi cercano per fare l’arbitro, perché sono bravo”), mentre in altri li minimizza (“sono soltanto uno degli arbitri di un centro sportivo”). L’anamnesi familiare è risultata negativa per malattie psichiatriche. Il paziente non riferisce alcuna patologia degna di nota; al momento in cui è giunto alla nostra osservazione non assumeva alcuna terapia.

 

VALUTAZIONE PSICOMETRICA

La valutazione psicometrica è stata effettuata mediante somministrazione dei seguenti strumenti:

_ MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) (17)

_ SCID (Intervista Clinica Strutturata per il DSM-IV) (18)

_ DIB-R (Diagnostical Interview for Borderline-Review) (19)

_ BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) (20)

_ HAM-A (Hamilton Anxiety Rating Scale) (21)

_ HAM-D (Hamilton Depression Rating Scale) (22)

_ STAS-S (State-Trait Aggressiveness Scale-State) (23)

_ STAS-T (State-Trait Aggressiveness Scale-Trait) (24)

MMPI, SCID, DIB-R

L’MMPI compilato dal paziente all’ingresso in ambulatorio, descrive, secondo l’interpretazione APAP (25), una persona che sembra dare discreta importanza alla possibilità di fornire un’immagine di sé socialmente sfavorevole. La descrizione secondo l’APAP prosegue così: “il paziente presenta un tono dell’umore tendenzialmente depresso con astenia e talvolta riduzione dell’iniziativa. Mostra difficoltà nel prevedere le conseguenze dei propri comportamenti spesso caratterizzati da valenze ostili ed oppositive nei confronti dell’ambiente. Tali tratti non sembrano comunque suscitare elevate manifestazioni di ansia libera. Può avere un’eccessiva fiducia nelle proprie possibilità, mostrando ipervalutazione di sé, ma sono possibili oscillazioni in senso opposto con dubbi sulle proprie reali possibilità operative. Può presentare un’eccessiva tendenza a dare importanza alle proprie funzioni somatiche: ciò può essere utilizzato al fine di ottenere gratificazioni di tipo affettivo. Si rileva una certa tendenza a mostrarsi compiacente, imitativo, e a strumentalizzare il rapporto interpersonale”. Il paziente riporta un punteggio di 15 alla sezione della Personalità Borderline, dell’intervista clinica strutturata per i disturbi di personalità “SCID”, mentre i punteggi delle altre sezioni, relative ad altri disturbi di personalità non appaiono significativi. Anche la valutazione complessiva della DIB-R, depone per una personalità Borderline, essendo il suo punteggio totale superiore a 7.

BPRS, HAM-A, HAM-D, STAS-S, STAS-T

Le scale di valutazione psicometrica sono state somministrate alla prima visita,dopo 15, 30 e 60 giorni dall’inizio della terapia farmacologica (Tab I)

Tabella I.- Andamento dei punteggi delle scale di valutazione dello stato psicopatologico.

Baseline

15 giorni

30 giorni

60 giorni

BPRS

35

27

33

23

HAM-A

17

11

7

3

HAM-D

23

13

17

6

STAS-S

22

20

23

16

STAS-T

22

28

26

19

VALUTAZIONE NEUROCOGNITIVA

Il paziente è stato valutato sul piano del livello intellettivo mediante l’uso della Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS). Alla somministrazione della scala, il ragionamento aritmetico, la memoria di cifre, specialmente nella serie inversa, la capacità di astrazione, l’associazione di simboli a numeri e la capacità di modificare i propri schemi cognitivi risultano alterate, ed il paziente si mostra insofferente e a tratti rinunciatario e sfiduciato rispetto alle proprie capacità di “ottenere buoni risultati.” Il Q.I. totale è stato 91, il Q.I. verbale, 98 e il non verbale, 83.

DIAGNOSI E TERAPIA

Dai dati emersi dall’assessment clinico è emerso un chiaro quadro di Disturbo Borderline di Personalità, secondo il DSM IV.Il paziente è stato inizialmente trattato farmacologicamente con una terapia antipsicotica a base di modalina 2mg/die, per il disturbo del comportamento e con una terapia antidepressiva a base di fluoxetina 20mg/die, per le valenze depressive e per il controllo dell’impulsività e della autoaggressività. Il paziente è stato seguito ambulatoriamente con controlli periodici ogni quindici giorni; da tali controlli è emersa una riduzione della quota di aggressività, con miglioramenti sul piano delle relazioni interpersonali, meno improntate allo scontro diretto, seppure solo verbale. Ciò ha consentito un riavvicinamento del paziente al gruppo amicale, con una sua frequenza regolare, una ripresa dell’attività lavorativa saltuaria in qualità di arbitro e la comparsa di una buona progettualità a breve e a medio termine. Racconta di essersi organizzato le vacanze con gli amici, mostrando di apprezzarne la compagnia. Il paziente ha iniziato a mostrare inoltre una certa iniziativa nel voler trovare una sistemazione lavorativa stabile, anche se sembrava poco deciso sul campo di applicazione: a volte rifiutava l’idea proposta dalla madre di fare il magazziniere, perché attività era ritenuta poco gratificante e “poco degna di lui”, per poi affermare con decisione di essere “disposto a tutto, pure a fare lavori umili”. Ha cominciato comunque a inviare diversi curriculum vitae a varie ditte, dove le capacità richieste erano effettivamente quelle da lui possedute, mostrando una buona adesione al piano di realtà. Persistevano ancora le difficoltà di rapporto intrafamiliari, per una frequente oscillazione del tono dell’umore: il paziente appariva improvvisamente triste e sfiduciato circa le sue possibilità e circa l’affetto dei suoi familiari, che a sua detta gli veniva negato e per la presenza di frequenti acting-out. Si notano atteggiamenti di sfida ed oppositività durante i colloqui, nei confronti dei genitori presenti. Sembrava acritico nell’attribuire la responsabilità delle continue discussioni “sempre agli altri”, mostrandosi soltanto superficialmente più tollerante, ma sentendosi in realtà “un Re”, con una discontinuità nell’immagine di sé. Dopo circa un mese dall’inizio del processo clinico viene pertanto aggiunto, sul piano terapeutico, uno stabilizzante del tono dell’umore: carbamazepina 600mg/die. Inizialmente il paziente sembra trarre giovamento da tale terapia, riferendo una riduzione della labilità affettiva e dei dissidi familiari. I rapporti interpersonali appaiono improntati ad una minore instabilità e l’impegno nei confronti dell’attività lavorativa più costante e presente. Proprio in questo periodo di riscontrato miglioramento, il paziente riferisce durante una visita di aver sospeso arbitrariamente la terapia con carbamazepina, giustificando tale atto con una “fobia delle analisi”, che gli erano state consigliate di effettuare periodicamente. Nonostante sia stato effettuato un tentativo di rinforzo della compliance farmacologica, che invece fino a quel momento si era mostrata soddisfacente, il paziente interrompe la relazione terapeutica.

DISCUSSIONE

Dai dati di letteratura riportati, emerge come la “sindrome” dell’extra Y sia stata all’inizio correlata con la criminalità; i criminologi cercavano quasi come suo attestato la presenza di quella specifica mappa cromosomica, considerando tale sindrome come sinonimo di sociopatia.Gli individui ai quali veniva diagnosticata questa anomalia genetica venivano etichettati automaticamente come “psicopatici”, determinando tutta una serie di conseguenze per l’individuo di ordine sociale, come l’emarginazione e l’isolamento, che, a volte lo spingevano ad assumere il ruolo già segnato. Questo fattore, potrebbe aver dato origine ad una interpretazione non appropriata della relazione che intercorre tra la sindrome genetica e l’atteggiamento criminale, secondo l’indirizzo prettamente organicistico seguito dalla criminologia dell’epoca. Alcuni studi successivi si sono distanziati da tale posizione, confermando l’associazione tra la “sindrome dell’extra Y e alcune caratteristiche fisiche quali un’altezza superiore alla media e una marcata robustezza fisica con un deficit del funzionamento intellettivo, causa quest’ultimo del comportamento antisociale. Soltanto recentemente è stato smentito il legame con l’aggressività eterodiretta, sottolineando invece la presenza di altre disposizioni temperamentali quali l’impulsività, la bassa tolleranza alla frustrazione, l’instabilità emotiva e l’immaturità. Il nostro caso clinico si inserisce in questa prospettiva, presentando diverse caratteristiche sopra riportate, che ci hanno condotto a non considerare la “sindrome”dell’extra Y come necessariamente legata in maniera univoca alla criminalità, ma ad un “temperamento irritabile” di natura costituzionale e ancorato alla struttura biologica. Basandoci sulla descrizione recente di Millon di tale temperamento ci sembra di ravvisare tra i criteri descrittivi alcune caratteristiche presenti nel caso clinico riportato, come anche in pazienti con disturbo antisociale di Personalità. I criteri per il temperamento irritabile comprendono almeno cinque tra le seguenti caratteristiche:

- irascibile e collerico

- -emotività talmente intensa che anche attività normalmente piacevoli risultano spesso intollerabili

- -tendenza a rimuginare

- -ipercritico e intollerante (lamentoso)

- -non accetta gli scherzi

- -inopportuno e invadente

- -impulsivo

Nel nostro paziente sono presenti tutti i punti riportati eccetto l’invadenza e l’essere inopportuno nelle situazioni, e in un paziente con disturbo antisociale di personalità si possono ugualmente riscontrare alcuni di questi criteri quali l’essere collerico, intollerante e ipercritico, il non accettare gli scherzi e l’impulsività. Anche l’alto livello di sofferenza e la grande difficoltà sul piano dei rapporti sociali e interpersonali, considerati dallo stesso autore come parti integranti del temperamento irritabile, sono presenti in entrambi i casi. Inoltre dal test MMPI effettuato dal paziente risulta un alto valore del fattore PD o “deviazione psicopatica” che descrive una facile liberazione di valenze ostili ed oppositive nei riguardi dell’ambiente, profilo appartenente anche ad un quadro antisociale. Il fatto di aver evidenziato tali caratteristiche temperamentali comuni, ci fa ipotizzare un possibile legame tra la “sindrome” in esame ed un determinato temperamento che poi si articolerebbe in diverse personalità come quella antisociale e quella borderline. La personalità risulterebbe infatti dall’interazione di fattori costituzionali ed acquisiti, non misconoscendo l’influenza dei fattori familiari, educativi, sociali ed ambientali in genere. Il temperamento infatti rimanda a un substrato biologico-funzionale, da cui deriverebbe un diverso “stile” di reazione agli stimoli-eventi, registrandosi livelli differenti di reattività, di slancio vitale e di strutturazioni cognitive, mentre il carattere è inteso come quell’insieme di disposizioni più o meno stabili della personalità costruite sulle interazioni ambientali. Le caratteristiche costituzionali del paziente che contribuiscono alla sua taglia elevata non ci sembrano quindi legate in maniera diretta all’aggressività , ma piuttosto in maniera indiretta, vista la reazione familiare a tale condizione (i genitori lo hanno deprezzato spesso proprio a causa del suo fisico sottolineando l’associazione “grossezza-stupidità”) che hanno certamente contribuito alla formazione di uno schema corporeo autosvalutativo e alla conseguente aggressività, in questo caso autodiretta. L’influenza ambientale si esplicherebbe secondo varie modalità, supportate dai diversi modelli teorici: il rapporto particolare del paziente con la madre o con la coppia genitoriale, o ancora col gruppo dei pari e alla famiglia in genere. Lo studio di un single case, pur non consentendo generalizzazioni, permette di operare un confronto tra dati clinici e modelli interpretativi. In tal senso si è ipotizzato che l’anomalia genetica riportata possa determinare un particolare temperamento, forse riscontrabile anche nella personalità antisociale.Questo caso offre quindi un nuovo spunto di riflessione per approfondire le correlazioni tra anomalie genetiche e disturbi di personalità.

La comunicazione assertiva
di Lanari Gianni, Calbi Nunziata - Ed. Finson

L'assertività o arte del rapporto interpersonale è, in Italia, una disciplina ancora misconosciuta. Essa descrive un modo di agire e uno stile relazionale in cui il rispetto dei propri desideri e bisogni riveste un ruolo di primo piano, mantenendo allo stesso tempo l'attenzione ai diritti e all'uguaglianza tra le persone. Il manuale guida il lettore lungo un percorso di crescita e auto-miglioramento che conduce all'equilibrio con se stessi e a una migliore interazione con gli altri...

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