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A Cup Of Tea

<>Cesare De Silvestri

 

Che cosa c'entra una tazza di tè con la psicoterapia? Già, che cosa c'entra?

           Eppure...            

Dunque, facciamo un passo indietro. Io sono vecchio e posso farlo più lungo di voi. Arriva lontano, sino alla seconda Guerra Mondiale di cui avrete sentito parlare. Io invece c'ero. Mi volevano mandare ad ammazzare i miei cugini scozzesi. D'altra parte, non volevo ammazzare nemmeno i miei parenti toscani. Non volevo ammazzare nessuno. Quindi sono fuggito. E andò a finire che al momento della disfatta di quel regime fascista che aveva portato l'Italia alla rovina mi trovavo a bordo di una nave della Royal Navy a trasmettere notizie ai partigiani. Ma questa è un'altra storia che vi racconterò un altro giorno. La tazza di tè comunque c'entra perché veniva servita tutti i giorni a tutto l'equipaggio, compreso me , alle cinque del pomeriggio.                                                      

British Heritage

Apparentemente non era niente di straordinario. Conoscevo l'abitudine del five o'clock tea sin da quando ero ragazzo e abitavo in Scozia e poi in Inghilterra. E' un costume, una tradizione di quel popolo -che è molto attaccato a tutte le sue tradizioni, anche quelle che sembrano superate, inutili o sciocche, ma che loro hanno molto care perché le considerano segni della loro identità. Non solo e non tanto d'identità nazionale, ma come un distintivo di stirpe, di personalità, di carattere.  Ecco, ora forse si comincia a capire che cosa c'entra con la psicoterapia quella tazza di tè. Perché era importante che venisse servita tutti i giorni alle cinque. In bonaccia o col mare grosso. Piovesse o tirasse vento. E lo stesso accadeva su tutte le altre navi della Royal Navy, anche in battaglia, anche se colpite, anche se a rischio di affondare. La mia nave non si trovò mai in uno scontro, ma ci capitò di dover raccogliere naufraghi di altre navi meno fortunate. Il primo soccorso, il primo conforto a questi marinai fradici, esausti, contusi, ustionati o feriti, talvolta in modo grave, fu l'immancabile "cuppa". Una tazza di tè che per loro significava "Ora sei a casa, sei con la tua gente. E' tutto normale, tutto sotto controllo".

First Aid

Prima della guerra avevo già visto l'effetto che poteva avere quella bevanda su chi era rimasto vittima di un incidente, di una perdita, di un lutto.  E dopo la guerra seppi quanti litri, ettolitri, autobotti, vagoni-cisterna di tè erano stati distribuiti ai superstiti dei bombardamenti a tappeto tedeschi sulle città. Nei rifugi, nelle stazioni dell'underground, o in mezzo alle macerie e agl'incendi, sotto il diluvio degl'idranti, fra gli urli delle ambulanze. Una tazza di tè che qualche volta veniva offerta dalle stesse mani del re o della regina-i quali, per tutta la durata della guerra, si rifiutarono di lasciare Londra per una località più sicura. Due tradizioni che si sposavano e si rafforzavano a vicenda.

Ma allora il tè non c'entra 

Be', c'entra la qualità di tè. Se è cattiva, naturalmente serve a poco. Se è buono, va molto meglio. Ma la cerimonia della tazza di tè è sempre importante a causa del significato e del valore che quel popolo, quella cultura, quella tradizione hanno attribuito a un gesto simbolico. Ecco perché l'umile tazza, il semplice gesto, il modesto rito tradizionale possono avere un'efficacia formidabile sullo stato d'animo e persino sulle condizioni fisiche di chi condivide quel significato e quel valore. Da ragazzo avevo visto chi piangeva per una disgrazia asciugarsi le lacrime e indurire la bocca in un'espressione detta stiff upper lip. Un'altra tradizione di quella razza fiera e ostinata che non a caso si chiama the bulldog breed. E da più grande, ho visto i marinai feriti sorridere tuffando il viso nella tazza fumante. E dopo la guerra ho imparato che gli scampati ai bombardamenti, anche i vecchi, le donne, i ragazzi, soccorsi con una povera tazza di tè, hanno fornito la parte più coriacea e invincibile della resistenza britannica ai terroristici massacri della Luftwaffe nazista.

Quindi...

...tutto questo ha qualcosa a che fare con la psicoterapia. Perché essa, almeno in parte, somiglia a quel rituale e al significato simbolico che gli viene attribuito. Anche noi abbiamo il rituale della seduta, del giorno, dell'ora, dello spazio e del tempo dedicato simbolicamente a stare meglio. A cercare di stare meglio malgrado l'incombere e l'incalzare dei problemi. Malgrado la sofferenza, l'ansia, la depressione, l'angoscia, talvolta la colpa, talvolta l'ostilità verso tutto e tutti, persino verso se stessi. E il modo cui accogliamo il paziente e gli offriamo aiuto ha più o mano lo stesso significato della tazza di tè. "Qui sei a casa; sei con qualcuno che sta dalla tua parte."   Come ho detto prima, una certa differenza dipende tuttavia nella qualità del tè ( o della psicoterapia ) che contiene la tazza. Noi offriamo la nostra.  Quella che insegna come non siano le cose a disturbare gli esseri umani ma le opinioni che essi si fanno delle cose. E che scegliendo e mantenendo tenacemente opinioni e valori e magari tradizioni funzionali alla sopravvivenza e al benessere è possibile affrontare problemi, ostacoli, perdite e danni nel modo migliore e auspicabilmente risolvere, superare e vincere le difficoltà.  Ma qui entriamo in un altro discorso che riguarda i corsi di formazione e che ovviamente dura molto più a lungo di un articoletto come questo. Per ora ho cercato soltanto di spiegarvi contesto in cui lavoriamo, e l'ho fatto raccontandovi la storia di una semplice tazza di tè-che in fondo non è così semplice, banale e fuori luogo come forse poteva sembrare.

 

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