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"ALTRO E' PARLAR DI MORTE...

Cesare De Silvestri

Oggi vorrei parlarvi di un argomento che sembra fra paura a moltissima gente. Già, proprio quello. Perché, vedete, si tratta di un problema che i vostri pazienti vi potranno presentare; e nemmeno tanto di rado, semplicemente se vorrete occuparvi di di situazioni estreme della sofferenza umana. A differenza, però, di altri problemi che auspicabilmente non vi riguarderanno mai personalmente, con questo prima o poi dovrete fare i conti anche con voi. 

...altro è morire"

E allora vale la pena di pensarci prima per non arrivare impreparati ad affrontarlo. non che io abbia trovato la formula magica per superarlo. Posso offrire, però, alcune riflessioni che mi sembrano abbastanza utili allo scopo. 

Questione di economia 

Tanto per cominciare, basta una minima conoscenza dell'evoluzione e della selezione naturale per capire quanto la morte sia necessaria al perpetuasi della vita. Cioè, quanto sia importante che il nostro pool di geni (come quello di tutti le specie animali e vegetali) vada continuamente ridistribuito, appunto con la scomparsa degli attuali individui, per consentire la mutazione di individui diversi, alcuni dei quali saranno più adatti alla  più o meno instabili condizioni ambientali. In altre termini, si potrebbe dire che senza la morte la vita prima o poi si estinguerebbe. 

Questiono filosofiche e biologiche

Da filosofo dilettante, certo. Ma anche filosofi professionisti hanno detto che senza la morte la vita non esisterebbe, così come in mancanza dell'elemento di antitesi non esisterebbero il buio e la luce,il giorno e la notte, il buono e il cattivo... Viene da pensare che la morte sia un concetto filosofico, una costruzione intellettuale, una categoria mentale. Insomma, una nostra invenzione. In fatto di biologia, ne basta una minima conoscenza per capire che in realtà la vita, come la materia di cui e fatta, non muore mai; anzi, continua a vivere continuamente in eterno, sebbene in forme diverse e senza più governo centrale anche dopo la morte dell'individuo.

Ma allora che cosa muore?

Temo che la risposta sembri un po' troppo riduttiva, ma, secondo me, l'unica cosa che veramente finisce, e quindi si può dire muoia, è questo nostro governo centrale e la nostra consapevolezza di esistere (consciousness in inglese, tradotta malamente in italiano con "conscienza", inglese conscience, che è cosa diversa). Governo e consapevolezza si possono interrompere anche in altre occasioni (sonno, lipotimie, coma, anestesie, eccetera), ma questa volta la perdita è definita. Svanisce soprattutto la speciale capacita di pensiero riflessivo che ci distingue dagli altri animali a causa della estremamente complessa organizzazione del nostro organismo. Talmente complessa che, a un certo punto dell'evoluzione, ha determinato un drammatico salto di qualità (quella che nelle scienze della complessità si chiama "catastrofe") rispetto anche ai nostri parenti genetici più prossimi. La morte riguarda quindi lo spegnersi di questa funzione, per un venir meno dell'enormemente complesso equilibrio organizzativo che l'aveva prodotta e che la manteneva. Si passa così da una situazione prenatale in cui la nostra consapevolezza non c'era, a un breve periodo di vita in cui invece esiste, per poi tornare alla situazione quo ante.

E che cosa si teme?

E' quindi questa prospettiva che fa paura, che angoscia, e che per ecorcizzarla ci ha fatto inventare le stravaganti mitologie della varie religioni, con i loro altrettanto fantasiosi corollari dell'aldilà, della vita eterna, dell'anima immortale, eccetera. Chi riesce a crederci può consolarsi così. Chi non ci crede può domandarsi se di fronte alla morte la gente che ne ha tanta paura vorrebbe veramente restar viva. L'ipotesi è semplicemente terrorizzante : subire un decadimento senile progressivo e senza fine mentre si assiste alla morte di tutte le persone care e tutti gli amici. No, a questo punto la scelta non è difficile. Resta semmai soltanto una ragionevole paura di soffrire mentre siano ancora al mondo. Il che dimonstra una volta di più come non conti tanto la durata della vita in sé e per sé quanto invece la sua qualità. 

Biati coloro che alla fine possono dire di aver giocato una bella partita

Happy those who can say to have had a good innings

 

 

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