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LEI NON SA CHI SONO IO !

  CESARE  DE SILVESTRI

 

Io sono vecchio e ho la memoria piuttosto lunga. La prima volta che mi capitò di udire questa frase fu ai tempi del fasciamo. E a pronunciarla con la dovuta iattanza fu un gerarchetto locale tutto compreso del suo proprio "valore" nel disegno generale dell'universo - o almeno nel sobborgo cittadino dove esercitava le sue burocratiche funzioni. Non ricordo perché quel poveruomo stimasse necessario affermare la la propria importanza. Probabilmente si trattava di pretendere qualche privilegio a danno degli altri comuni mortali. Ma l'episodio mi è tornato in mente dopo una discussione con alcuni stimati colleghi i quali insistono a considerare l'autostima una gran bella cosa da incoraggiare e coltivare nei propri pazienti. Be' in fatto di autostima il gerarchetto ne rappresentava un buon esempio. Dubito però che andasse incoraggiato a coltivarla. In primo luogo, per motivi concettuali e logici - come o cercato di spiegare in un'altra mia paginetta  ("La trappola dell'autostima", Tibits 1). In secondo luogo, per la palese sproporzione fra la tronfia opinione di sé e la reale importanza intrinseca ed estrinseca del personaggio. In terzo luogo, perché la sua compiaciuta soddisfazione veniva costantemente messa a rischio e revocata in dubbio se qualcuno non gliela conferma in modo deferente o servile. L'episodio che accennavo in apertura avveniva a Livorno, e i toscani, si sa, hanno un sanissimo costituzionale, direi antropologico disprezzo per tutti coloro che, come si dice, "si danno importanza". I livornesi sono forse i più reattivi e i più feroci nel dimostrare tale disprezzo - fino all'irrisione, allo scherno, al dileggio e alla beffa. La storia della regione e in particolare quella della città me ne fa fede. (Non a caso, oltre al famoso "Vernacoliere", un altro giornale locale in vernacolo livornese si chiama appunto "Il Beffardo".)  Messo così in questo ambiente, il povero gerarchetto avrà dovuto ingoiare parecchi bocconi amari. Donde la sua rabbiosa reazione ogni volta che gli capitava. Con il risultato di complicare la sua sofferenza per la sconferma della sua vanitosa opinione di sé con un'altra sofferenza rappresentata appunto dalla collera, dall'ira e dall'ostilità con il probabile corteo di altre sofferenze come il malanimo, l'arrovellamento, il rancore, eccetera.

Ancora l'autostima

Bella roba. Ma qualche stimatissimo collega, pur essendo costretto a darmi ragione su questi rischi e queste deleterie conseguenze dell'autostima, cerca di salvare almeno una certa dignità alla sua buona opinione dell'autostima sostenendo che sarebbe una cosa innata. Ne ho già scritto altrove, più volte,anche nei "Titbits 1" come dicevo e non starò a ripetermi. Qui voglio soltanto aggiungere una brevissima considerazione su questo tipo di ragionamento. E' stato detto che il patriottismo rappresenta l'ultimo rifugio di chi non ha altro di meglio da proclamare. Abisit injuria verbis, ma ricorrere ad un supposto innatismo per giustificare una posizione altrimenti insostenibile mi sembra una manovra dello stesso tipo. E fa venire in mente altri "innatismi" più o meno fasulli, come quello di un supposto "senso morale" o di un altrettanto supposto "senso religioso", e sbandierati a tutto campo da chi è privo di altri argomenti. Sino ad una "innata" ripugnanza per tutto ciò che nella individuale e parrocchiale opinione dei censori sarebbe "contro-natura" - come ad esempio i rapporti omosessuali fra adulti ed altre "perversioni" altrettanto innocue e divertenti. In ogni caso, chi si ostina a credere che l'autostima sia una bellissima cosa si avvolga pure con sussiego nella propria e speriamo che non ci rimanga strangolato o che non gli tiri qualche altro brutto scherzo. Eventualmente sono sempre disposto a dargli una mano per liberarsene.

 

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