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Ostilità ed oltre

  CESARE  DE SILVESTRI

Proprium humani ingenii est quem laeseris  Publius Cornelius Tacitus, "Agricola"

Certe volte rileggere gli antichi aiuta a comprendere meglio ed eventualmente a ri-elaborare in modo più esauriente punti vista, pensieri, concetti e giudizi considerati approdi della propria o altrui riflessione e dati quasi per scontati. 

Un pizzico di psicopatologia

Non è la prima volta che mi occupo dei problemi d'ostilità, e ne ho anche scritto qualcosa. Non sarò il massimo esperto dell'argomento, però conosco abbastanza bene due popoli (quello toscano e quello scozzese) in cui rancori, vendette, faide sanguinose e massacri, talvolta di una ferocia raccapricciante, fanno parte della loro storia e della loro memoria storica. Anche di questo ho scritto altrove e probabilmente ne scriverò ancora, ma oggi vorrei riprendere il discorso dal fatto che nella stragrande maggioranza dei casi l'ostilità mi è sempre sembrata un problema da prendere molto sul serio per la fondamentale idiozia delle premesse e per le micidiali conseguenze che talvolta può comportare. Il meccanismo è molto semplice. Io dichiaro che una persona ha fatto qualcosa che secondo me non doveva fare. Cioè mi arrogo il potere legislativo e promulgo una legge (non importa quanto condivisa), esercitando una funzione che in realtà appartiene al Parlamento. Poi occupo tutto l'ordine giudiziario nella triplice posizione di Pubblico accusatore, Giudice e parte lesa. Emetto quindi la setenza di condanna e, se mi riesce, faccio anche il boja che irroga la pena al colpevole. Il che rappresenta in tutta evidenza una vera e propria mostruosità istituzionale e giuridica.

Ma c'è di peggio

Già, perché spesso la faccenda non finisce lì. La citazione di Tacito ne rappresenta un buon esempio. In un momento successivo, infatti, potrei anche cercare qualche altra giustificazione all'astio e alla malevolenza contro il colpevole. Si tratta essenzialmente di una questione di coerenza - caratteristica essenziale del nostro modo di ragionare. Se voglio del male a qualcuno, è indispensabile che io sia convinto che se lo merita - magari ignorando suoi pregi, benemerenze e virtù. Altrimenti finirei con l'entrare in contraddizione con me stesso. Una tale dissonanza va evitata ad ogni costo, e s'instaura così una spirale di ostilità che si auto-alimenta, che diviene più o meno permanente e che esita in uno stato d'animo di vero e proprio odio verso quella persona. (Conosco un caso che vi racconterò un'altra volta .)

Nel bene e nel male

Un fenomeno specularmente analogo si può riscontrare nel caso in cui invece faccio qualcosa di buono ad una persona. Anche qui, per non entrare in contraddizione con me stesso, mi convinco che ho fatto benissimo perché quella persona se lo meritava. E cerco quindi di tener presente tutto il bene che posso pensare di lui - scotomizzando accuratamente eventuali suoi grossi difetti e palesi iniquità. Il che può spingere a continuare a fargli qualche altro piacere. (E il caso che accennavo dianzi ha anche questo risvolto .)  Naturalmente non sono scoperte nuovissime. Gli antichi avevano già detto che se si fa del bene a qualcuno, si diventa suo debitore per tutta la vita. E se viceversa gli fa qualcosa di male, si diventa suo nemico e persecutore a vita. Per salvare la nostra coerenza, come abbiamo visto. E magari anche per non perdere la faccia davanti agli altri. 

Antichi e moderni

Tacito non aveva il vantaggio di conoscere la nuova prospettiva cognitiva in psicologia e psicoterapia, ma noi - imitando un po' il Manzoni, che definiva Shakespeare "un barbaro non privo d'ingegno" - possiamo ben dire che il grande scrittore latino non mancasse di penetrazione psicologica quando scriveva che è nella natura umana odiare la persona a cui si è fatto del male. D'altra parte, la filosofia dell'epoca contava più di un filone a cui si riferisce anche la teoria generale e clinica di questa nuova prospettiva. Insomma, tutto sommato, sembra di essere in buona compagnia. 

 

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