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L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE NELLA PATOLOGIA HIV/AIDS

La necessità di informazione, in un’era di cambiamento

Barbara Bandinelli 

Dai counselling somministrati al momento del ritiro della risposta al test dell’ HIV nell’ambulatorio del Policlinico Umberto I, Cattedra di Allergologia e Immunologia Clinica, si nota che la popolazione afferente ha spesso informazioni limitate e distorte, nonostante l’AIDS sia una malattia conosciuta da più di 25 anni e con più di 40 milioni di sieropositivi nel mondo. I reali comportamenti a rischio spesso non sono riconosciuti e percepiti come tali, mentre i pregiudizi (trasmissione attraverso la saliva, il sudore, le lacrime, i baci, gli abbracci…) sono radicati e diffusi. Spesso gli utenti si lamentano delle difficoltà incontrate nell’accesso all’ informazione a loro necessaria ed evidenziano la poca informazione fornita dagli strumenti di comunicazione. Il profilattico, vissuto come barriera ed ostacolo all’incontro, viene visto come presidio eccessivo, tale da indurre nel partner il sospetto che, chi lo propone, abbia qualcosa da nascondere. In tal senso, la proposta del profilattico durante un incontro si carica di significati relazionali molteplici, in certi casi paradossali, tanto da costituire un ostacolo all’adozione di comportamenti consoni a riguardo. Inoltre si è notato che, nell’immaginario collettivo, l’infezione da HIV viene vissuta come altamente virulenta, il contagio immaginato attraverso semplici contatti; di contro vengono sottovalutati o assolutamente non presi in considerazione i veri comportamenti a rischio (rapporti sessuali non protetti), basando il giudizio di salute del partner sull’apparenza estetica. Il legame amoroso viene vissuto come “isola felice”, scevra da qualsiasi problematica inerente la malattia da HIV, essendo questa considerata di esclusivo appannaggio di “cattivi e perversi”. La fantasia più comune è che il soggetto sieropositivo sia riconoscibile attraverso i segni fisici della malattia, della bruttezza e della cattiveria. Molti legano la propria difficoltà nel gestire la relazione con i sieropositivi al proprio timore del contagio; a volte l’informazione ricevuta circa le precauzioni da usare in queste contingenze non è loro sufficiente a contenere la paura derivante dalla convivenza, la stessa paura che li porta a negare il problema o ad accantonarlo. Erroneamente, perciò, molti sono portati ad evitare il contatto con i sieropositivi, pensando che qualsiasi tipo di avvicinamento, anche con le dovute precauzioni, possa provocare il contagio del virus. Questo tipo di comportamenti pone in risalto l’insufficiente informazione ricevuta e la conseguente nascita di pregiudizi a riguardo. In attesa di soluzioni mediche per il trattamento  dell’AIDS e della vaccinazione contro questa malattia, la prevenzione è attualmente l’unico modo di evitare l’ulteriore diffusione dell’epidemia. Bisogna però notare che la prevenzione, in questo caso, passa attraverso un cambiamento importante del nostro comportamento e in particolare di quello sessuale. La prevenzione passa, in ogni caso, per l’informazione e l’educazione. Il comportamento dei giovani rispetto alla sessualità e alla droga, rimane un argomento delicato; trovare una soluzione implica la partecipazione di tutti, nessuno può essere isolato nella pianificazione dei programmi di insegnamento. È anche importante non separare l’AIDS dalle altre malattie sessualmente trasmissibili, l’insegnamento riguardante l’AIDS può essere integrato all’interno di discipline più vaste, come l’educazione sanitaria o le scienze sociali (O.M.S., 2003). All’inizio della terza decade di AIDS, la campagna informativa sull’ infezione da HIV/AIDS ha dovuto prendere in considerazione gli importanti cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni, che hanno profondamente modificato il significato di questa malattia e la sua percezione sociale. Da alcuni studi preliminari realizzati su popolazioni con comportamenti ad alto rischio d’infezione, si evince che la disponibilità di trattamenti terapeutici  efficaci può indurre ad abbandonare le misure di prevenzione (CIRM Ricerche, maggio 2003; Anlaids Lombardia, 2004). La minaccia di morte imminente è venuta a cadere, infatti AIDS e morte non sono più due realtà indissolubilmente legate, e i possibili conflitti esistenti tra necessità di prevenzione e desiderio di una sessualità libera da precauzioni, impongono una riflessione sulla relazione tra comportamenti sessuali e rischio per la salute.  Il superamento della paura di morte e il processo di trasformazione del significato dell’infezione da HIV potrebbero aver modificato o indebolito gli atteggiamenti preventivi rispetto al contagio (Moroni, 1999). Ancora oggi gli adolescenti e i giovani sono un target particolarmente importante per la prevenzione dell’infezione da HIV. Alla luce del fatto che l’AIDS non è più mortale a breve termine, ma costringe a lunghissimi periodi di terapia, è opportuno costruire l’informazione su un messaggio semplice, non più basato sul rischio di morte, poco recepito dai giovani, ma sul rischio di sviluppare una malattia cronica ed invalidante. Occorre infatti informarli che non esiste ancora una cura per guarire definitivamente dall’AIDS. Nell’ultimo decennio, la proporzione di pazienti di sesso femminile, tra i casi adulti di AIDS, è andata progressivamente aumentando, passando dal 16% del 1985 al 24,2% del 2000. Le modalità  di acquisizione dell’infezione è, per i tre quarti delle donne con AIDS, legata a contatti eterosessuali. la ricerca :INFORMAZIONI, COMPORTAMENTI E ATTEGGIAMENTI RIGUARDO L’INFEZIONE DA HIV: STUDIO PILOTA SU 300 SOGGETTI”. Con questo studio si vuole indagare quali siano le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti sessuali inerenti l’HIV, in un campione composto da 100 soggetti afferenti all’ospedale per sottoporsi al test dell’ HIV, e 200 soggetti contattati fuori dal Policlinico, per un totale di 300 soggetti. Inoltre si vuole capire cosa le persone pensano degli interventi di prevenzione finora effettuati e quali esigenze esse hanno, anche al fine di tarare al meglio le future proposte di intervento su questo fenomeno.  Il livello di informazione della popolazione risulta nel complesso molto buono, anche se appare deficitaria la conoscenza relativa alle modalità di trasmissione del virus dell’HIV e ad altri aspetti più specifici. Solo il 32,3% del campione  conosce in modo integrale e completo le modalità di contagio, e lo scambio di siringhe potenzialmente infette risulta la via di trasmissione  più nota (96%), mentre i rapporti sessuali non protetti dal profilattico e nello specifico, i rapporti anali, vengono menzionati e riconosciuti in minore percentuale (rispettivamente dall’ 84% e  dal 58,7% del campione). Questo dato sembra derivare dal fatto che in Italia, negli anni ’80, la principale modalità di trasmissione dell’HIV era proprio lo scambio di siringhe e la popolazione più colpita era, di conseguenza, quella dei tossicodipendenti. Nonostante la situazione epidemiologica del nostro Paese stia cambiando e la modalità di trasmissione attualmente più diffusa sia quella sessuale, è ancora radicata nella cultura generale l’associazione dei tossicodipendenti alla malattia dell’AIDS.  Se indaghiamo nello specifico, risultano deficitarie e poco appropriate le informazioni relative ai rapporti sessuali orali, infatti il 7,3% del campione non lo considera un comportamento a rischio e il 13,7%  non ha informazioni a riguardo.  Anche l’aspetto riguardante la convivenza con persone sieropositive sembra necessitare di approfondimenti: il 27,7% del campione non è a conoscenza del fatto che non si corrono rischi di contagio nel condividere gli stessi spazi, quali ad esempio i servizi igienici, con persone malate; e il 31,3% crede necessario la comunicazione dello stato di sieropositività in ambito lavorativo, mentre il 26,3% non si espone su questo aspetto.  La diffusione di informazioni corrette a proposito di realtà pratiche quali la convivenza, la condivisione di spazi e di attività con  persone malate, è un  aspetto a mio avviso di fondamentale importanza se si vuole che l’integrazione del malato nella società diventi una situazione scevra da pregiudizi e paure ingiustificate. Riassumo qui di seguito come sono distribuite le conoscenze, in base alle variabili socio-demografiche del nostro campione. Il livello di informazione risulta essere più alto nei soggetti con un’età che va dai 56 ai 65 anni, mentre più basso nei soggetti più giovani (16-25 anni). Il livello di informazione aumenta con il crescere del livello di istruzione ( risultato in accordo con la precedente ricerca di Carducci et al., 1989); per quanto riguarda la condizione lavorativa, i soggetti disoccupati insieme alle casalinghe sono quelli con un’informazione più bassa, per cui, possiamo ipotizzare che l’ambiente lavorativo possa svolgere un’importante funzione formativa per l’acquisizione di informazioni, in questo caso in tema di HIV/AIDS. Le donne facenti parte del nostro campione hanno dimostrato un livello informativo di poco superiore agli uomini, così come, considerando l’orientamento sessuale, gli omosessuali hanno un’informazione in tema di HIV/AIDS leggermente maggiore rispetto ai bisessuali e agli eterosessuali. Risulta superiore il livello di conoscenze nei soggetti che hanno fatto il test dell’HIV, rispetto a coloro che non l’hanno fatto, e questa differenza significativa tra i due campioni ci conduce a pensare che, in coloro che si sono sottoposti al test, ci sia stata una maggiore elaborazione delle informazioni, rispetto a coloro che non hanno mai pensato di farlo. L’informazione invece non risulta  correlata in nessun modo con i comportamenti sessuali, anzi, nei soggetti con comportamenti sessuali a rischio, il livello informativo risulta di poco superiore rispetto ai soggetti appartenenti alla altre categorie di comportamento sessuale, questo ci fa pensare che l’informazione non sia un elemento sufficiente ad evitare che nella pratica siano messi in atto comportamenti sessuali a rischio di contagio. Anche lo studio di Pierro et al., del 1993, riportava la stessa conclusione: le informazioni possedute dai soggetti non hanno nessuna influenza sulle scelte comportamentali.   I soggetti che per la maggior parte hanno fatto il test dell’HIV, sono coloro facenti parte delle  fasce di età intermedie, ovvero dai 26 ai 55 anni; per quanto riguarda il livello di istruzione, la maggior parte dei laureati presi in considerazione ha fatto il test, mentre nei livelli di scolarità inferiori ( licenza elementare, media inferiore e superiore) la maggior parte non l’ha fatto; per quanto concerne la regione geografica, al Sud Italia la maggior parte del campione non si è sottoposto al test dell’HIV, al Nord e al Centro si riscontra la tendenza inversa. Quasi la totalità degli omosessuali e dei bisessuali (rispettivamente il 92% e l’80%) si sono sottoposti al test, mentre solo il 48% degli eterosessuali l’ha fatto. Se valutiamo come si sono distribuiti i soggetti che hanno fatto il test in base alla condizione lavorativa, notiamo che i liberi professionisti e gli impiegati, che risultano detenere anche maggiore informazione, sono coloro che in maggior percentuale hanno fatto il test dell’HIV. I dati relativi allo stato civile, invece, ci mostrano che il 63% dei fidanzati non ha fatto il test dell’HIV, e questa risulta essere l’unica categoria in cui la maggior parte dei soggetti non l’ha fatto. Questo risultato deve farci riflettere sul fatto che non viene seguito il consiglio preventivo principale secondo cui, prima di iniziare una relazione stabile, (quindi prima di passare da un metodo contraccettivo quale il preservativo, ad un altro quale la pillola), è consigliato sottoporsi al test dell’HIV. A questo proposito riflettiamo sul fatto che, del 68% del campione che afferma di usare il preservativo mai, raramente o a volte con il proprio partner stabile, solo il 23,7% dice di aver fatto il test dell’HIV, mentre il 13,3% si auto-giustifica dicendo che fa uso di contraccettivi orali. Anche nel caso di rapporti non protetti con partners del tutto occasionali, i soggetti si sono giustificati affermando che l’uso del profilattico crea imbarazzo, e dicendo che fanno uso di contraccettivi orali. Il suddetto risultato, circa il fastidio e l’imbarazzo creato dall’uso del profilattico, è stato ottenuto anche da precedenti ricerche: Orr et al., 1992; Pierro et al., 1993; Zamperetti et al., 1994; Solano et al., 1999.  I soggetti sembrano più interessati all’aspetto contraccettivo del rapporto non protetto, quanto all’aspetto di prevenzione nei confronti di malattie sessualmente trasmissibili: il profilattico viene sostituito con molta facilità dalla pillola, con la fantasia che abbia gli stessi effetti.   I comportamenti sessuali, come abbiamo gia visto, non sono correlati al livello di informazione (un risultato diverso è riportato da Kann et al., 1989, secondo cui l’uso del preservativo risulta correlato al livello informativo) così come non lo sono con la variabile del test dell’HIV: il 58% dei soggetti a rischio si è sottoposto al test, anche il 51% dei soggetti non a rischio l’ha fatto.  I comportamenti sessuali a rischio non sembrano distribuirsi in modo particolare se relazionati alle variabili socio-demografiche, ovvero, i comportamenti sessuali, e nello specifico quelli a rischio, sembrano essere presenti in modo per lo più omogeneo nelle varie categorie prese in considerazione (età, sesso, livello di istruzione, regione geografica, orientamento sessuale, condizione lavorativa e stato civile). E’ comunque possibile rilevare, anche se non in modo statisticamente significativo, una percentuale più alta di comportamenti a rischio di contagio, tra i più giovani (16-35 anni), tra i maschi e tra gli eterosessuali. L’AIDS Locus of Control[1]  risulta più Interno nei soggetti facenti parte della fascia di età dai 16 ai 25 anni, nelle donne, e nei soggetti con comportamenti non a rischio. L’importanza data al controllo personale interno e alla scelta del proprio comportamento, fa compiere scelte comportamentali meno rischiose, rispetto a coloro che attribuiscono la probabilità personale di contrarre l’HIV/AIDS a fattori esterni quali il caso, la fortuna o il destino. Questa correlazione tra comportamenti sessuali non a rischio e L.O.C. Interno, conferma il risultato ottenuto da altri studi precedenti: Kelly et al., 1990; Imbarrato, 1995; Solano et al., 1999. Il livello delle informazioni e il L.O.C. risultano correlati positivamente, anche se l’entità della correlazione è piuttosto lieve. La maggior parte del campione riferisce di aver reperito informazioni in tema di HIV/AIDS soprattutto dalla televisione, a scuola e dai giornali. L’efficacia delle campagne informative fino ad ora effettuate è stata valutata insufficiente per il 60,3% del campione, perché poco approfondite, poco pubblicizzate e perciò di scarso impatto. C’è bisogno di un intervento più all’insegna della continuità che all’insegna dell’urgenza. Le indicazioni che ci sono state fornite dal campione su come dovrebbe essere organizzata una futura campagna di prevenzione e informazione HIV/AIDS, hanno dato questi risultati: i messaggi dovrebbero essere strutturati con frasi semplici e chiare, ma allo stesso tempo dovrebbero essere dettagliati e approfonditi; le aree che dovrebbero essere approfondite sono le modalità di trasmissione e la prevenzione. I soggetti ritengono che la campagna di informazione dovrebbe essere fatta per mezzo della televisione, degli opuscoli e dei giornali e soprattutto nelle scuole e nelle ASL, nonché nei locali quali discoteche e pubs.   

Riflessioni

Credo che la maggiore difficoltà comunicativa sia dovuta al fatto che l’HIV è una malattia legata inevitabilmente alla sessualità, alle abitudini e consuetudini di cui è difficile parlare: c’è bisogno di maggiore riflessione su certe tematiche così intime e personali, ma che vanno affrontate in modo chiaro e diretto, senza tabù di nessun genere. L’informazione basilare è piuttosto buona e diffusa, quello che manca è una conoscenza e una coscienza pragmatica che permetta di mettere in atto comportamenti non discriminanti, una conoscenza aggiornata e realistica su come si trasmette il virus e su come non si trasmette (quali precauzioni si devono prendere, quali sono i timori ingiustificati) mettendo in luce i mutamenti che caratterizzano la nostra epoca, in cui, l’AIDS non è più una malattia che riguarda solo certe categorie di persone, idea  che per troppo tempo ha caratterizzato la nostra cultura a riguardo, che può rassicurare da un lato, ma che non permette il formarsi di una cultura della prevenzione più cosciente e diffusa. Le abitudini sessuali e relazionali stanno cambiando molto velocemente, soprattutto tra i più giovani: sarebbe auspicabile che con queste cambiasse anche la cultura della prevenzione, perché oltre all’HIV esistono altre malattie a trasmissione sessuale. La prevenzione di questa malattia deve sconfiggere, a mio parere, innanzitutto le false credenze secondo cui, ad esempio, una persona malata la si può riconoscere dal suo aspetto esteriore; questa malattia non colpisce solo certe categorie di persone quali tossicodipendenti, omosessuali e prostitute. Fin quando ci sentiremo estranei al problema, adotteremo false rassicurazioni che ci distanziano dalla paura del rischio, ma ci limitano anche nella ricerca di informazioni. Proprio perché “il diverso” fa paura, è paradossalmente più facile giudicare l’estraneo etichettandolo, che pensare alla malattia e ai problemi individuali e collettivi che essa pone. Il tipo di messaggio che deve essere inviato deve andare al di là di semplici nozioni, deve toccare la consapevolezza di ognuno, sfatando relazioni piuttosto radicate nella nostra cultura tra sessualità e vergogna, tra malattia infettiva ed emarginazione, per fortuna troppo obsolete per i nostri tempi. Inoltre sembrerebbe opportuno e auspicabile che la ricerca scientifica si orientasse verso la scoperta di un tipo di precauzione diverso da quello attuale, ovvero alternativo al preservativo, dato che ormai risulta consolidato il mancato uso di questo, a causa del fastidio reale e diffuso che esso provoca.

Bibliografia:

Anlaids Sezione Lombarda (2004). Rapporto Anlaids 2004 su adolescenti e prevenzione. I quaderni di Stoppaiz, 1/2, 1-52. 

Carducci A., Mattelli G., Frasca M., Calamusa A., Bendinelli M., Avio  C.M. (1989). I giovani e l’informazione sull’AIDS. Atti del III Convegno Nazionale “AIDS e sindromi correlate”, Napoli, 10-12 novembre 1989.            

Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS, Aggiornamento dei casi di AIDS giugno 2004, Ministero della Salute,  reparto di             Epidemiologia, Roma.

Imbarrato A.M. (1995). Attribuzione causali, controllo personale e intenzioni comportamentali. Gli adolescenti e l’AIDS. II  Congresso Italiano di Psicologia della Salute, Cesena, 10/12 novembre 1995.

Kann L., Nelson G.D., Jones J.T., Kolbe L.J. (1989). Establishing a system of complementary school-based surveys to annually assess HIV-related knowledge, beliefs, and behaviors among adolescents. Journal of School Health, 59, 55-58.

Kelly J.A., St.Lawrence J.S., Brasfield T.L., Lemke A., Amidei T., Roffman R.E. (1990). Psychological Factors that predict AIDS high-risk versus AIDS precautionary behavior. Journal of Consulting and Clinical Psychology,58,1, 117-120.

Moroni M. (1999). La diversificazione come scelta obbligata. Roche Farmaceutici Italia.

Organizzazione Mondiale della Sanità di Roma (O.M.S.), Aggiornamento dicembre 2003.

Orr D. P., Langefeld C. D. ( 1992). Factors associated with condom use by sexually active male adolescents at risk for sexually trasmitted disease.  Annual Meeting of the Society for Pediatric Research, Baltimore, 5 May 1992.

Pierro M., Mannetti L., Cavalieri A. (1993). Studio di alcuni fattori che influenzano comportamenti a rischio nei giovani. Psicologia      Italiana, 2, 58-64.

Solano L., Costa M., Petri N., Auditore F., Maiorana T., Cinanni V., Temoshok L. (1999). Thought processes, emotional processing, psychosocial conditions as determinants of safe or unsafe behaviour in HIV-1 infection: a study on 1206 male subject.

Zamperetti M., Suprani A., Bacchetta M. (1994). Informazione, prevenzione e pregiudizio nell’infezione da HIV: indagine comportamentale su 4630 militari di leva. Rivista di Psichiatria, 29, 6, 317-322.

 


[1]  AIDS Locus of Control Scale (Kelly et al.,1990): nove items dell’ Health Locus of Control Scale (Wallston et al., 1978)  sono stati modificati per renderli pertinenti all’AIDS. A ciascun item deve essere attribuito un punteggio su scala Likert, che va da 1, “del tutto vero”, a 5, “per niente vero”.

Il concetto del “Locus of Control” nasce all’interno di una teoria dell’apprendimento sociale (Rotter, 1954) come articolazione del concetto di rinforzo. Attraverso il processo di apprendimento, secondo Rotter, i soggetti imparano a credere che gli eventi sono il risultato della propria azione, possono essere perciò controllati (L.O.C. Interno), o al contrario, che dipendono da agenti esterni, quali il destino (L.O.C. Esterno).

Rotter sviluppò così il costrutto, Walltson, nel ’78, ideò l’Health Locus of Control Scale, relativa propriamente alla salute, da cui deriva l’AIDS Locus of Control Scale (Kelly et al., 1990).

 

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