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La sindrome di Down. Comprensione e sostegno ai genitori.

Sonia Arturi

 

“A due passi da me ci sei tu,

a due passi da te c’è lui,

a due passi da lui ci siamo noi”.

Edmond Jabes, Il libro dell’ospitalità.

 

Breve introduzione

L’articolo esplicita le dinamiche relazionali e la mobilitazione delle risorse nel caso di una malattia quale la Sindrome di Down o trisomia 21. Si tratta di una condizione genetica, dovuta ad un’alterazione del corredo cromosomico, costituita dalla presenza di un cromosoma 21 soprannumerico. Risvegliare la sensazione di sentirsi un genitore competente in grado di “prendersi cura” dei bisogni evolutivi del proprio bambino e di rispondere in maniera ottimale alle sue richieste fisiche ed emotive è l’elemento fondante della trattazione.

La Sindrome di Down: aspetti clini dello sviluppo

La sindrome di Down è una malattia genetica in cui il neonato presenta un corredo cromosomico costituito da 47 cromosomi, con la presenza di tre copie del cromosoma 21 invece che due. Si presume che la trisomia 21 sia la “conseguenza di un’alterazione primaria durante la gametogenesi, ovvero la formazione dei gameti o cellule sessuali” (Enciclopedia della medicina Rizzoli, 1972). La trisomia libera, di gran lunga più frequente, rappresentando il 95% dei casi, è legata ad una non disgiunzione, cioè ad una mancata separazione della coppia 21 durante una delle divisioni meiotiche, che conducono normalmente alla formazione dei gameti. In conseguenza di tale errore, uno dei gameti diverrà portatore di un numero aberrante di cromosomi per la presenza di un 21 in più. Come tale, se va incontro a fecondazione, esso dà luogo ad uno zigote patologico con trisomia 21. In merito alle cause della non- disgiunzione cromosomica, esistono ancora oggi notevoli perplessità. Sono stata formulate varie ipotesi, (Militerni, 2003) valorizzando i seguenti fattori:

-         età materna

-         predisposizione genetica

-         fattori ambientali

Per quanto riguarda l’età materna, è stata ampiamente dimostrata una correlazione positiva tra età materna all’epoca del concepimento ed incidenza di nascite di bambini affetti da sindrome di Down: con l’aumentare dell’età della madre, aumenta proporzionalmente il numero di nascite di soggetti affetti da sindrome di Down.

Comporta molteplici rischi in termini di salute (Vianello, 2006).

Oltre alle caratteristiche fisiche, comuni nei soggetti trisomici 21, come gli occhi a mandorla, la lingua grossa e sporgente, statura media inferiore alla norma, il collo ampio, le mani corte e larghe, e problemi in diversi organi e apparati (Hobart, 1996), è presente il ritardo cognitivo e alterazioni dello sviluppo motorio e percettivo, con un ritmo più lento di acquisizione di abilità (Ferri, 1996). La dimensione di un tempo più lungo e la percezione della necessità di “dare tempo al bambino” da parte dei genitori è molto utile poiché permette ai genitori di non inondare il bambino con eccessive e pressanti richieste di prestazione.

La nascita di un bambino con la Sindrome di Down: ridefinizione del nucleo familiare

La genitorialità rappresenta uno stato dinamico, aperto al cambiamento e all’attivazione delle potenzialità e risorse che comportano una trasformazione (Tsiantis, 2002). La genitorialità intesa come processo dinamico, permette l’acquisizione di nuove modalità affettive e relazionali, attivando nuove emozioni, nuove fantasie, nuove aspettative, nuovi bisogni e nuove dinamiche relazionali. Pazzagli e collaboratori (1981) hanno individuato tre aspetti tipici della condizione di una madre durante il parto o subito dopo la nascita. Esse sono la perdita, intesa proprio come uno stacco del proprio corpo, connessa alla conclusione della gravidanza; la disillusione, ovvero la differenza tra il bambino immaginato e il bambino reale; e la regressione in simbiosi.

Questo è ciò che avviene durante il corso normale e naturale degli eventi.

Quando una madre invece da alla luce un bambino con disabilità, perde dentro di se l’immagine di bambino atteso e desiderato, con la conseguente ferita narcisistica provocata dalla disabilità. Ciò potrebbe influire sulla qualità del legame di attaccamento deteriorandolo (Ammaniti, 1980). La comunicazione della diagnosi e il ritardo di sviluppo associato provocano nei genitori delle reazioni emotive intense oltre alla valutazione di problematiche inaspettate che comportano un processo di ridefinizione del proprio nucleo familiare, che si protrae fino all’età adulta (Ferri, 1996). 

Riconoscere che il proprio figlio necessita di un sostegno concreto, mette il genitore davanti a scelte importanti, scelte non esenti da domande e perplessità “avrò fatto la scelta giusta?”. 

Il senso di colpa e la vergogna sono esperienze che accomunano i genitori. La vergogna intesa come esperienza del fallimento del Sé nel raggiungimento dei suoi obiettivi, la colpa come esperienza umiliante che attiva un conseguente giudizio morale interno e il desiderio di riparare (Tsiants, 2002). Il nucleo familiare subisce nel caso della diagnosi di malattia di un figlio numerosi mutamenti che pongono i genitori ad intraprendere numerose scelte che nella maggior parte delle volte mettono in discussione le loro competenze di madre e di padre. Forse infatti la situazione più dolorosa avviene quando i genitori non sono capaci di tracciare un percorso evolutivo definito per il proprio bambino rappresentato e di conseguenza vivono quotidianamente l’incertezza e l’angoscia verso il futuro. Ciò avviene ogni volta in cui è presente un ritardo evolutivo significativo con il risultato di un fallimento nello sviluppo della rappresentazione che i genitori hanno del bambino futuro e presente (Stern, 1995). I genitori per colmare quel vuoto provocato dalla malattia spesso mettono in atto delle difese o dei comportamenti compensativi sostituendosi al personale riabilitativo per fronteggiare le situazioni di disagio e mantenere un’immagine di sé come genitore adeguato ed efficiente. La famiglia del bambino con la sindrome di Down si trova spesso paralizzata a causa di stress e angoscia, dovuti alla solitudine con cui è affrontato un problema cha ha invece vaste implicazioni sociali. Questo carico lasciato alla famiglia passa spesso, attraverso una colpevolizzazione dei genitori che interiorizzata, si traduce in isolamento, nella tendenza al nascondimento e alla negazione della gravità (Baccichetti et al., 1977). Dal senso di impotenza legato all’incapacità di sentirsi dei genitori efficaci, deriva la “delega” dei bisogni e della crescita del proprio figlio a persone competenti ed esperte della malattia, con la convinzione di fare la scelta giusta, affidandosi a colui/colei in grado di prendersi cura e sopperire alle necessità evolutiva del bambino (Ferri, 1996). Accompagnare e sostenere i genitori nell’esercizio delle loro funzioni permette loro di relazionarsi nel migliore modo possibile con i figli, favorendone la comprensione e puntando sulle risorse, sui punti di forza e sulle capacità intrinseche innate, che il più delle volte vengono negate o ignorate. Appare utile quindi fornire un sostegno ai genitori nella loro funzione educativa che appare particolarmente problematica e complessa, attraverso l’accoglimento degli aspetti problematici e peculiari della relazione educativa con i figli disabili e la loro elaborazione, la valorizzazione delle risorse e dell’esperienza quotidiana e la capacità di attivare e/o agevolare il processo di autonomia sia dei figli che dei genitori, al fine di elaborare il vissuto di inadeguatezza legato alla disabilità. (Loda, Tagliaferri, 2006).

Osservazioni conclusive

Una volta accettata la diagnosi e creato la possibilità di gestirla, tutti i genitori sentono il bisogno di avere chiarificazioni sui bisogni riabilitativi ed educativi del proprio bambino, definendo le modalità di presa in carico e la necessità di interventi specifici. L’incontro con l’istituzione sanitaria rappresenta un passo obbligato per la cura e la gestione della  malattia. E’ un momento importante e decisivo per definire il rapporto con il personale sanitario. Dalle notizie apprese nell’introduzione vediamo che a causa del ritardo nell’acquisizione di competenze, la sindrome di Down necessita di terapia riabilitativa e di contatti frequenti con l’istituzione sanitaria. È doveroso da parte del personale medico assistere la famiglia nelle prime fasi per giungere prima possibile alla fase dell'accettazione e così intraprendere, insieme alla famiglie il cammino riabilitativo. L'interazione genitore-figlio è infatti la prima via per lo sviluppo del bambino. Sempre bidirezionale, nello sviluppo di ogni individuo essa è come un crescendo che conduce il piccolo, via via, alla socializzazione ed alla sua maturazione psico-affettiva. Di conseguenza il tema del rapporto con le istituzioni sanitarie assume una certa rilevanza perché il percorso riabilitativo con questa tipologia di bambini risulta fondamentale. È importante quindi la capacità del genitore di vagliare personalmente la vita dei figli e di riuscire a vedere i loro bisogni e la possibilità di rappresentarli. Lo scambio e il conforto con l’esterno è però ugualmente decisivo per comprendere e valutare le scelte compiute. Per questo motivo affidarsi ad un referente permette al genitore di mediare il rapporto con l’esterno. Darsi spazi e tempi permette di vivere pienamente ogni traguardo raggiunto dal proprio bambino. Emerge dunque il tema della “visibilità”, dell’essere partner attivo e comunicativo, del chiedere e avere come valore normativo da porre alla base di ogni tipo di relazione. Si tratta in questo caso di una scelta precisa e di una possibilità di confidare nelle proprie personali risorse, alimentando la percezione di sentirsi genitori bravi e competenti. Ma sappiamo anche che per ogni tipo di bambino il mondo della scuola, o nel caso specifico dell’inserimento al nido, permette il dispiegarsi di un’apertura verso il mondo. L’educazione è ovviamente  fornita prima di tutto dalla famiglia, ma occorre dare spazio anche ad altri contesti, comunque importanti e funzionali alla crescita fisica e psicologica. L’asilo ha un ruolo preponderante perché diviene mezzo di educazione e di confronto con l’esterno. Lo stacco temporaneo dalle figure di riferimento e la possibilità di socializzare rappresentano stimoli importanti per la crescita e lo sviluppo ma al tempo stesso rappresentano la paura esplicitata del genitore; paura delle relazioni che il proprio figlio crea con altri bambini o paura del rapporto con gli insegnanti. Risulta degno di nota anche il rapporto con i fratelli, prima palestra di socializzazione del bambino, quale stimolo alla crescita e all’autonomia. I genitori credendo nelle proprie personali risorse, temono sempre meno il domani poiché vivono con maggiore competenza il presente e sanno valutare i progressi compiuti dal bambino. Imparando a dare il giusto peso agli eventi riescono a gestire al meglio la propria sfera affettiva e le relazioni con gli altri e limitare il proprio senso di colpa e di vergogna per avere dato alla luce un bambino con handicap. Essere un buon genitore non coincide infatti con l’essere infallibile. Le cadute, i dubbi e le incertezze non dequalificano il genitore ma, al contrario lo rendono attivo e partecipe al processo di crescita del proprio bambino.Quando il bambino vede infatti più o meno corrisposte le sue aspettative su come andrà la regolazione interattiva[1], assume consapevolezza del proprio stato emotivo e fisico (a livello presimbolico), e maggiore sarà la sua regolarità nel soddisfacimento dei suoi bisogni, maggiormente ne sarà consapevole (Beebe, Lachmann, 2003). La fiducia si esplica infatti non solo in relazione agli operatori verso cui si affida il progetto riabilitativo del proprio figlio ma anche nei riguardi di se stessi, avere fiducia infatti nelle proprie competenze rende il genitore meno vulnerabile e più sicuro nel fronteggiare gli eventi, eventi che, in misura variabile si verificano in ogni famiglia e con ogni tipo di bambino. Risulta quindi di particolare importanza risvegliare la consapevolezza emotiva creando uno spazio di riflessione, con l’obiettivo di non far sentire il genitore accusato e incapace di gestire la malattia. Un punto di forza e una possibile redenzione della colpa.

BIBLIOGRAFIA

Ammaniti, M. (1980). Handicap. Roma: Editori Riuniti.

Baccichetti, C., Bobbo, R., Cannao, M., Cosma Paternello, E., Dallapiccola, B., De Sandre, I., Felicioli, F., Mastroiacovo, P. P., Moretti, G., Omodeo, A. S., Rasore- Quartino, A., Sinet, P. M., Tenconi, R. (1977, Gennaio). Aspetti medico-sociali della sindrome di Down. Organizzato dalla Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali (A. N. F. F. S.). Medicina Cleup, Padova.

Beebe, B., Lachmann, F. M. (2002). Infant research and Adult Treatment: Co-constructing Interactions. The Analitic Press: Inc (Tr. it. Infant Research e Trattamento degli Adulti. Un modello sistemico diadico delle interazioni. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2003).

Enciclopedia della medicina. Rizzoli, 1976.

Ferri, R. (1996). Il bambino con Sindrome Down. Tecniche di intervento nei primi anni. Roma: Il pensiero scientifico.

Loda, B., Tagliaferri, N. (2006). Dalla teoria alla pratica: difficoltà e vissuti nelle prime esperienze di conduzione. In F. Pezzoli ( a cura di), Gruppi di genitori a conduzione psicodinamica. Dall’esperienza clinica alla sistematizzazione teorica (pp. 202-221). Milano: Franco Angeli.

Militerni, R. (2003). Neuropsichiatria infantile. Napoli: Idelson Gnocchi.

Pazzagli, A., Benvenuti, P., Rossi Monti, M. (1981). Maternità come crisi. Roma: Il Pensiero Scientifico.

Stern, D. (1995). The Matherhood Constellation. A Unified View of Parent- Infant Psichotherapy. New York: Basic Books (Tr. it La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre- bambino. Torino , Bollati Boringhieri, 1995).

Tsiantis, J. (2000). Work with Parents: Psychoanalytic with Children and Adolescents. London: Karnac Books (Tr. it Il lavoro con i genitori. La psicoterapia psicoanalitica con i bambini e gli adolescenti. Roma: Borla, 2002).

Vianello, R. (2006). La sindrome di Down. Sviluppo e integrazione dalla nascita all’età senile. Azzano San Paolo (BG): Edizioni Junior.

Zanbon Hobart., A. (1996). La persona con sindrome Down. Roma: Il pensiero scientifico



[1] Il comportamento di ogni partner è “contingente”, è influenzato da quello dell’altro, cioè può essere previsto in base a quello dell’altro. Per autoregolazione invece si intende la capacità dei partner di regolare i rispettivi stati. Dalla nascita in poi, il processo di autoregolazione gestisce il controllo del livello di attivazione, il mantenimento dello stato di vigilanza e la capacità di inibire l’espressione comportamentale.

 

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