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“Biblioterapia: la lettura come benessere”

Recensione di Alessandro Mascherpa e Maria Chiara Gozellino

 

La lettura serve per la cura di sé? La risposta alla domanda sembra essere proprio: sì! Ed in molti modi differenti, come sottolinea Barbara Rossi nel capitolo-intervista che apre il libro. La lettura può infatti essere un ottimo strumento per riflettere su di sé e sugli altri, in una prospettiva che non si limita solamente al presente, ma che procede retrospettivamente nel passato, si proietta nel futuro ed esplora altre possibili storie, che possono in qualche modo essere connesse a quella vissuta dal lettore. Indaga pertanto il reale e l’irreale, ma soprattutto l’ipotetico, quell’affascinante margine di probabilità che cela e nasconde spesso la possibilità di portare cambiamenti nella nostra visione delle cose. Ecco che affiora dunque un valore più prettamente terapeutico della lettura, che favorisce non solo una presa di coscienza ma anche un vero e proprio cambiamento di prospettiva che arricchisce il lettore fornendogli nuove idee e nuove chiavi di lettura della sua esperienza. Tutto ciò, ci mette bene in guardia Barbara Rossi, non deve tuttavia comportare una chiusura del lettore alla realtà, una sorta di fuga solitaria dalla vita vissuta, un rifugio in storie altrui che ci permettano di dimenticare la nostra, preferendo un rassicurante mondo di carta a quello imprevedibile ed incontrollabile costruito sulle tre (o quattro?) dimensioni. Se da un punto di vista più prettamente scientifico la biblioterapia sta muovendo ora i primi passi, il valore terapeutico dei libri compare in diversi esempi più o meno evidenti nella letteratura. Nel libro vengono citati Dostoevskij e Cristina Campo, aggiungeremmo alla lista anche Alan Bennett, che nel suo divertente libro “La sovrana lettrice”[1] sottolinea le virtù trasformative della lettura giocando proprio sui cambiamenti e su una ipotetica redenzione della Regina d’Inghilterra, e Jasper Fforde che attribuendo alla sua eroina Thursday Next[2] la capacità di entrare ed uscire dai libri apre una metariflessione sui complessi rapporti tra realtà vissuta e realtà narrata e su come l’una possa influenzare inevitabilmente l’altra e vice versa! Nel secondo capitolo, curato da Simona Di Carlo, si approfondisce la relazione tra lettura, psicologia e, in senso lato, psicoterapia, sottolineando i tratti che accomunano le differenti attività sia a livello di processi che di ricadute pratiche nella vita quotidiana. Il potere curativo di tali pratiche sta proprio nella capacità di stimolare una riflessione e “attivare un pensiero creativo e critico” su di noi e sugli altri, permettendoci da un alto di comprendere meglio la nostra vita ed il mondo in cui siamo immersi e dall’altro di utilizzare la nostra creatività e la nostra fantasia per mettere in atto cambiamenti nella direzione di un maggiore benessere. Nel terzo capitolo è la letteratura ad essere assunta come metafora di un viaggio doloroso nel mondo intrapsichico. L’autrice, Rosanna Finelli, utilizza infatti una rilettura del racconto di Franz Kafka “La metamorfosi” per rappresentare, in modo lucido e complesso, il valore terapeutico della lettura. “Si potrebbe quindi pensare oggi che con un efficace intervento psicoterapico potremmo dare una svolta con un finale diverso a questa storia” sostiene l’autrice, riferendosi alla sciagurata vicenda di Gregor Samsa, magari portando nella stanza di terapia e nel processo terapeutico qualche testo emblematico, che possa aiutare i pazienti a “risvegliare la percezione di sé”. Il quarto capitolo, scritto da Ilaria Moroni, ribalta in qualche modo la prospettiva sin qui adottata passando dalla lettura ad un particolare modo di scrittura, quella autobiografica. Il valore di tale pratica, sostiene l’autrice rifacendosi anche al lavoro di Duccio Demetrio, è incredibilmente prezioso ed ha un notevole valore autoformativo. Nella sua duplice veste di scrittura e lettura, il processo autobiografico diviene un utilissimo strumento introspettivo che ci permette, grazie al meccanismo della “bilocazione cognitiva”, di dare uno sguardo a noi stessi da sempre nuovi punti di vista. Solo in chiusura viene citato anche il valore relazionale della scrittura autobiografica, intesa quasi come “testamento” da lasciare agli altri, per permettere loro una migliore comprensione di noi e, al contempo, di sé stessi. L’aspetto relazionale della lettura è invece centrale nel quinto capitolo, scritto da Simona De Carlo, dedicato all’importanza della lettura in età evolutiva. E qui è proprio la relazione con l’adulto, tramite l’oggetto libro, ad essere al centro del processo di crescita e maturazione. La lettura delle favole diviene così non solo un’occasione di maturazione cognitiva, ma anche e soprattutto un’occasione per costruire (ed in alcuni casi ri-costruire) la propria esperienza del mondo esterno e delle regole che in esso vigono. Lo spazio immaginario del libro diviene così palcoscenico delle emozioni del bimbo, dei suoi timori e delle sue paure, ma anche terreno in cui crescere ed affrontare situazioni reali complesse, come in una sorta di palestra della mente. Inoltre l’autrice, attenta alle molteplici implicazioni relazionali dell’atto del leggere, sottolinea come la lettura possa costituire un notevole vantaggio anche per l’adulto, offrendo un facile modo per entrare in relazione con il bambino, diventando un importante mediatore che apre anche la possibilità di introdurre nella conversazione tematiche difficili da affrontare. Le implicazioni terapeutiche di un utilizzo della lettura in seduta vengono illustrate in chiusura con esempi chiari, empatici e toccanti, che mettono bene in luce come uno strumento di questo tipo sia a volte l’unico per poter aprire porte solo apparentemente chiuse a chiave. La prima parte del libro si chiude con una riflessione di Antimo Pappadia sul difficile e controverso rapporto tra lettura e televisione, puntando il dito nella piaga della triste situazione Italiana, fanalino di coda europeo nella quantità di libri acquistati. Il parere dell’autore è netto e deciso: se la televisione offre solo reality e programmi spazzatura, meglio spegnerla e dedicarsi in modo massiccio alla lettura. La seconda parte del libro entra nello specifico dell’applicazione della Biblioterapia indagando alcuni contesti in cui la lettura è stata utilizzata consapevolmente come strumento terapeutico. Il settimo e l’ottavo capitolo, rispettivamente scritti da Paolo Pizzuto e Piergiovanni Sempio, sono dedicati alla lettura in ambito carcerario. Gli autori, occupandosi del significato e del valore della lettura in reclusione, descrivono come, in un luogo dove la vita dei detenuti è consegnata ad altri per essere gestita, scegliere un libro e leggerlo in gruppo può diventare un’esperienza educativa di libertà di espressione. Veronica Prampolini nel nono capitolo racconta la propria esperienza di trasformazione grazie alla scrittura di un testo ad argomento autobiografico: come l’autrice ha imparato a convivere con l’endometriosi. Il racconto è stato occasione di riflessione personale e di condivisione con altre donne affette dalla stessa patologia, diventando una vitale risorsa per una comunità silenziosa ed in difficoltà. Il decimo capitolo contiene una breve riflessione ed alcuni spunti applicativi di Flavia Cazzola  in merito alla lettura nella scuola dell’infanzia. Questa seconda parte si conclude con una curiosa riflessione sulla Serendipità e su come la lettura possa stimolare piacevolmente connessioni impreviste tra argomenti e storie apparentemente scollegati tra loro. La ricca proposta di letture con cui si chiude il libro non può che incuriosire, accendere la voglia di continuare a leggere, magari facendo un po’ di spazio alla novità in una libreria che già sfida le leggi di gravità oppure gettando una nuova luce su testi già letti, da poter ora riprendere in mano, riscoprire e condividere con altri.

 

 



[1] La sovrana lettrice” di A. Bennett, Adelphi Edizioni, 2007 Milano.

[2] Vedi: “Il caso Jane Eyre” di J. Fforde, Marcos y Marcos 2006 , “Persi in un buon libro” di J. Fforde, Marcos y Marcos 2007 e “Il pozzo delle trame perdute” di J. Fforde, Marcos y Marcos 2007.

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