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Il valore positivo della bugia

di Elena Cristofori e Barbara Rossi

Mentire è un comportamento diffuso, tipicamente umano, non è tipico dell’adolescenza, né necessariamente un indice di psicopatologia; di solito viene valutato infatti da un punto di vista etico più che psicopatologico. Non appena i bambini sono in grado di utilizzare il linguaggio con sufficiente competenza sperimentano la possibilità di affermare a parole una verità del desiderio e del sentimento diversa da quella oggettiva. E’ noto che i bambini non hanno la stessa proprietà di linguaggio degli adulti, per cui spesso gli adulti chiamano bugia ciò che per il bambino è espressione di paure, di bisogno di rassicurazione o di percezione inesatta della realtà. Si può parlare di bugia quando si nota l’intenzione di “barare”, e comporta un certo livello di sviluppo. Nei bambini avviene come messa alla prova per misurare poi la reazione degli adulti al suo comportamento. Nel crescere assume anche altri significati. Le motivazioni alla base del mentire possono essere diverse: alcune bugie servono a nascondere, altre ad esibire, vi sono bugie pubbliche e bugie private. Ogni età e ciascuno dei due sessi ha le proprie bugie tipiche. Qualche volta la bugia si identifica con la disobbedienza: se obbedienza è fare ciò che viene richiesto, comportamento apprezzato e desiderato dai genitori,  requisito necessario per una buona interazione con il bambino, la mancanza di obbedienza non è necessariamente  un dato negativo. La capacità di “mentire” può essere considerata  una conquista cognitiva attraverso la quale il bambino cerca la sua posizione e indipendenza  nel contesto familiare. Questo esercizio permette di sviluppare un proprio pensiero, ma anche le abilità e le strategie sociali, che lo aiuteranno ad esprimere la sua autonomia in modi socialmente accettabili. Dal punto di vista dello sviluppo ciò che ci preme segnalare è il passaggio dal raccontare la semplice bugia all’esibire abilità più complesse quali la capacità di contrattare  e  di negoziare. Decisamente significativo su tale svolta l’atteggiamento delle figure educative, dai genitori agli insegnanti, che devono essere fermi sul limite, chiari sul valore e sulla leicità delle varie condotte, supportivi nel dare spazio..ovvero un mix per nulla facile da realizzare. In alcuni casi, specie a partire dall’adolescenza, motivo psicologico tipico della bugia è il bisogno di nascondere parti di sé;  in questo caso essa viene utilizzata per proteggere un segreto, spesso un Sé ancora troppo insicuro per mostrarsi in pubblico. La parte di Sé che si sceglie di nascondere può essere di volta in volta diversa: la propria pochezza e dipendenza infantile, o all’opposto, la nuova identità, il corpo e la mente che crescono. E’ caratteristica dei maschi l’uso della bugia come esagerazione delle proprie qualità; non a caso questa motivazione psicologica della bugia è diffusa nella prima parte dell’adolescenza, quando a una vaga sensazione di potenza in fieri, non si accompagna ancora la percezione di competenze in grado di tradurla in atto. Per le femmine mentire può essere più facilmente connesso ad un clima relazionale di confidenze e segreti giurati e poi traditi, ad un gioco di rilevazioni e nascondimenti. Questi diversi stili rimandano ad un differente rapporto con l’ideale di ruolo sessuale, con un immagine del Sé sessuale maschile più esibita ed un immagine del Sé femminile più giocata sulla ritrosia, sul nascondere e rivelare. Ci sono ragazzi che mentono solo in uno specifico contesto relazionale, in famiglia o a scuola, con gli amici o nei rapporti sentimentali. In questi casi sarà un aspetto specifico del Sé ad essere nascosto ad un determinato interlocutore. L’uso della bugia in adolescenza può dunque indicare una difficoltà di integrazione dei diversi aspetti di Sé, in una fase evolutiva in cui i mondi relazionali non sono ancora integrati tra loro. In questo caso mentire è una esigenza fisiologica di carattere difensivo, finalizzata a proteggere aspetti di Sé ancora molto fragili; l’uso della bugia contribuisce infatti alla costruzione di uno spazio privato del Sé. Saper mentire è da questo punto di vista un’espressione iniziale della capacità di tenere le cose per sé, di tollerare, di avere uno spazio privato, segreto, non condiviso con altri. Un esempio è la storia di Henri Potter, dove il vivere in mondi paralleli, un po’ magici, permette di meglio esprimere i vari aspetti del Sé e di integrarli con maggiore chiarezza. Un adolescente che non è in grado di sottrarsi allo sguardo dei genitori e chiede di essere approvato in ogni suo comportamento, anche trasgressivo, segnala, con il bisogno di condividere ogni esperienza emotiva e comportamentale, la difficoltà a rendersi autonomo. In questo senso la confidenza che alcuni genitori, in genere le madri, pretendono dai figli e soprattutto dalle figlie, sulla loro vita sentimentale e sessuale, e che qualche volta vantano di ottenere – “Guardi, ne sono certa, mia figlia mi racconta proprio tutto, sono io la sua migliore amica…” – rappresenta una violazione del nuovo Sé che va costruendosi e che si definisce alzando pareti divisorie fra la propria vita emotiva e quella dei genitori. Per concludere vorremmo soffermarci sul ruolo positivo della bugia negli adulti. Alle volte nascondere la verità a noi stessi può aiutarci ad affrontare meglio le situazioni problematiche. Chiameremmo “autoinganno terapeutico” quella abilità di un soggetto a costruirsi visioni della realtà che lo conducano a cambiare le sue disposizioni e reazioni disfunzionali. Una strategia che illusoriamente crediamo ci aiuta a vivere meglio si basa sul fatto che se ad un individuo per esempio piace pensare che un evento è vero può ripeterselo nella mente, scriverlo e citarlo ripetutamente con formulazioni diverse, sino a persuadere altri di ciò di cui vuole persuadere sé stesso. Se riuscirà ad ottenere tale scopo, quello della persuasione altrui, avrà costruito una credenza stabile nella sua mente, ma dovrà poi affrontare lo sforzo continuo di tenere in piedi un castello che può crollare da un momento all’altro. Nulla paga di più della chiarezza, senza per questo dover rivelare i propri più profondi e intimi pensieri.

 

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