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"L'abito non fa il monaco (Proverbio)"

Paola Locci

Negli ultimi anni si parla molto dell’immagine, al punto che è stato inventato il nuovo lavoro dell’“esperto dell’immagine”. Ad esempio, si sa che importanti uomini politici si servono di tali specialisti per far scegliere la foggia ed il colore degli abiti, il tipo di pettinatura, il modello degli occhiali, oltre naturalmente agli atteggiamenti da assumere nelle varie circostanze, ufficiali o private che siano; scelte operate in base a sondaggi, ricerche e studi accuratissimi e approfonditi, allo scopo di piacere al maggior numero di elettori possibile. Ma, senza arrivare a questi estremi, ciascuno di noi sa che per ogni situazione esistono una serie di regole, scritte e non scritte che vanno rispettate, pena il non raggiungimento dello scopo, che può anche non essere materiale (può essere un favore o un lavoro, ma anche l’affetto, o la stima, o la fiducia, di qualcuno). Se un giovane ambisce ad un posto di d.j. da Gilda, potrà anche andare con il suo ciuffo verde e il pearcing al sopracciglio, ma certo non farà la stessa cosa se andrà ad un colloquio di lavoro per entrare in banca. Così come ognuno di noi sa che non si va ad un funerale vestiti in modo sgargiante, o a San Pietro con una minigonna inguinale. Generalmente l’immagine deve essere adeguata al ruolo. Non è socialmente accettato (anche se non esistono leggi che lo vietano) che un ministro vesta in bermuda (a meno che non sia in vacanza), che una madre di famiglia faccia la cubista seminuda in un night, o che un giornalista si presenti al telegiornale in tuta da ginnastica. Parecchio tempo fa fecero un’inchiesta per sapere se i pazienti preferiscono il medico in camice o vestito normalmente. La ricerca stabilì che la maggior parte delle persone preferisce il medico in camice, perché ha la sensazione che sia più affidabile. L’abito non fa solo il monaco, fa molto di più. I ragazzi del liceo, fino a qualche decennio fa, portavano giacca e cravatta, e i professori davano loro del “lei”. Questo apparente formalismo contribuiva al passaggio dall’infanzia all’età adulta. Ora l’abbigliamento da ragazzini si prolunga all’infinito. E viene rifiutato l’abito normale perché è “da grandi”, anzi “da vecchi”. Fin qui niente di male, il guaio è che in questo caso l’abito è solo l’aspetto più superficiale di un rifiuto a crescere che spesso continua a manifestarsi anche nell’adulto con la cosiddetta sindrome di Peter Pan. E, purtroppo, il cinquantenne che si veste da ragazzino non ringiovanisce, anzi! Insomma, il proverbio in teoria dice il vero, ma in pratica: tutti siamo pronti a proclamare solennemente che non ci si deve basare sulle apparenze, che un bel vestito può celare un mascalzone, mentre un galantuomo può nascondersi in un sacco di iuta; in realtà poi ognuno di noi giudica – forse inconsapevolmente – anche in base all’abito. Lo so che non è giusto, e non è neppure razionale, ma chi ha mai detto che l’essere umano è sempre giusto e razionale?

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