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"Se c'è soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è soluzione perché ti preoccupi? (Aristotele)"

Paola Locci

Questa frase, più che di Aristotele sembrerebbe del solito anonimo saggio cinese. A dimostrazione del fatto che forse la saggezza è qualcosa di universale e trasversale a varie epoche e culture. Eppure l’essere umano sembra essere predisposto a preoccuparsi, tanto che quando non ha preoccupazioni, riesce a preoccuparsi del fatto che le cose stiano andando troppo bene, e quindi, qualcosa sta sicuramente per succedere. Benché questa sia una situazione rara, in quanto, se è vero che ubi maior minor cessat, nel senso che una preoccupazione importante scaccia tutte le più piccole, è anche vero che un qualche problema minore per cui preoccuparsi si trova immancabilmente... Qualcuno potrebbe obiettare che non sempre una persona riesce a non preoccuparsi, per il solo fatto di volerlo, anche e soprattutto quando al problema non c’è soluzione. Penso di poter concordare. Ma io vorrei parlare di quelle persone per cui i problemi potrebbero avere una soluzione, e magari potrebbero averne più di una, solo che cercare una soluzione esula completamente dagli obiettivi di chi in tal modo può continuare a preoccuparsi e soprattutto a... lamentarsi. Avete mai provato a proporre una soluzione ad un amico che vi espone le sue preoccupazioni per l’ennesima volta, riguardo sempre allo stesso problema? Nella maggior parte dei casi, dirà che è impossibile mettere in atto il suggerimento, ma se insisterete per sapere perché, vi guarderà con aria smarrita e vagamente ostile e riprenderà a lamentarsi come se voi non aveste neppure parlato. Ebbene lo scopo di quella persona non è risolvere il proprio problema, bensì continuare a lamentarsene (anche se ovviamente... non lo sa). I motivi possono essere tanti: bisogno di attenzione, necessità di condividere i propri pensieri, ricerca di complicità. Oppure il bisogno di mantenere un ruolo che in qualche momento della vita si è creduto giusto di dover assumere e che non si vuole più abbandonare. Prendiamo ad esempio una classica madre di famiglia. Quando dico “classica” non intendo quella delle pubblicità televisive - esistente solo nelle fantasie di “creativi” in preda a desideri inconfessabili - che sta in cucina con i tacchi alti, spolvera truccata di tutto punto, fa il bucato cinguettando come un passerotto a primavera. No, dico quella veramente classica, quella in vestaglia e bigodini, senza trucco e tacchi alti, piuttosto seccata e un tantino frustrata, comunque stanca, stanca, stanchissima. Bene, quando la udrete lamentarsi della propria stanchezza, provate a suggerire una di queste ovvie soluzioni: perché non ti fai un po’ aiutare dagli altri familiari? è veramente indispensabile lustrare il pavimento due volte al giorno? non potresti risparmiarti di stirare i calzini? Se poi arrivate all’ardimento di proporle di lasciare ogni tanto che la casa vada in malora - ché tanto non muore nessuno - e andare a fare una bella passeggiata o a prendersi un caffè con un’amica, vi guarderà esterrefatta, come se le aveste proposto di partire per sempre per le Maldive. Se andasse perduto il suo “ruolo” di madre di famiglia che si sacrifica per la famiglia, cosa resterebbe? Naturalmente un simile discorso vale anche per i signori uomini, in particolare per i cosiddetti bulimici del lavoro, quei manager, o professionisti, o anche ragionieri e idraulici, che vivono la domenica come un incubo e le vacanze come un’assurdità, incapaci di delegare il più piccolo compito a chiunque. Salvo poi lamentarsi continuamente: devo fare tutto io, non mi posso fidare di nessuno, chi fa da sé fa per tre, beato te che puoi permetterti la vacanza... Anche questo signore è perfettamente a suo agio nel ruolo dell’uomo affidabile, che non ha tempo da perdere, impegnato a fornire alla famiglia sicurezza e benessere economico. Certo, ci si potrebbe chiedere perché si ha tanto bisogno di costruirsi e mantenere un ruolo, anche a costo di grandi sacrifici, ma ognuno di noi può cercare di approfondire da solo questo punto, se ne ha voglia... Tornando alla “superficie” che fare? Nulla. Una volta capito che in realtà queste persone non vogliono trovare soluzione ai loro problemi, non dovrete far altro che ascoltarle pazientemente, assumendo un’espressione partecipe e comprensiva. Questo se sono amici. Se invece non lo sono, ricordarsi improvvisamente di un appuntamento può essere un ottimo espediente, diplomatico e in fondo civile, per sfuggire alla valanga di lamentele e brontolii che sta per travolgervi. In tutti i casi, non date consigli e non suggerite soluzioni: non vorrete privare questi superpreoccupati del loro principale passatempo, no?! Se poi, leggendo queste righe, vi siete riconosciuti nella figura del superpreoccupato, poco male! Abbiate a vostra volta un po’ di indulgenza verso chi cerca, senza riuscirci, di darvi una mano... capirete che è più facile dare consigli per risolvere i problemi altrui, che cercare di risolvere i propri!

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