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"Pubblico"?

Paola Locci

Il 9 settembre 1998 ci lasciava Lucio Battisti. In agosto ero stata all’estero. Prima di partire, radio e televisione propinavano tre bollettini medici al giorno sulle condizioni di salute di Alberto Castagna. I quotidiani riportavano coscienziosamente tali bollettini, nonché opinioni, commenti, resoconti di medici, parenti, amici, colleghi di lavoro. Tornata dal mio viaggio, passarono settimane prima di sentire di nuovo parlare di Castagna. Naturalmente questo è solo un esempio: ciò accade per i più svariati argomenti, e a volte, da un giorno all’altro. Mi chiedo perché, dopo un’overdose di notizie su un certo tema, come per un misterioso contrordine, non si sa più come le cose stiano procedendo o come si siano concluse. Mi piacerebbe essere smentita, ma ho l’impressione che per alcuni giornalisti – sempre pronti a sbandierare il loro diritto-dovere all’informazione – in realtà l’informazione sia l’ultimo degli scopi. Prendiamo il “caso” Battisti. Forse secondo certi giornalisti avrebbe dovuto prendere il posto del “caso” Castagna. Una succulenta valanga di articoli, interviste, comunicati dell’ultim’ora… Sempre per questi giornalisti (ma il discorso è ugualmente valido per alcuni fotografi), frustrati e delusi per il mancato scoop, un personaggio pubblico ha il dovere di tenere informati i suoi estimatori i quali hanno il diritto di sapere. Allora io mi pongo alcune domande: cosa vuol dire personaggio “pubblico”? Pensiamo ad un uomo politico: un politico, per sua natura, rappresenta altre persone, in nome e per conto delle quali prende delle decisioni, agisce, lavora: ha appunto un ruolo pubblico. Le persone rappresentate hanno il diritto di sapere se possono contare su questo signore, ovviamente finché questo signore ricopre il suo ruolo pubblico. Se questa persona ha problemi tali per cui non può più tener fede al proprio mandato, in via temporanea o definitiva, è giusto che gli altri ne vengano informati per poter provvedere. (Naturalmente, persino in questo caso, non è assolutamente necessario sapere tutti i particolari). Veniamo ora al caso di un artista, sia esso un cantante, un attore, un musicista, un pittore. Per quale motivo questo artista è un personaggio "pubblico” ? “Pubblico” significa “ciò che non è privato, che appartiene a tutti”. Un personaggio dunque diventa pubblico perché il suo lavoro si svolge davanti a degli spettatori? Ammettendo che sia così: il personaggio, cioè il cantante o l’attore, può anche essere considerato pubblico nello svolgimento del suo lavoro, ma per quale motivo un cantante o un attore deve essere personaggio 24 ore al giorno, e per tutta la vita? Quand’è che ha il diritto, questo sì sacrosanto, di ridiventare “persona”? Perché questa persona non ha il diritto di fare una passeggiata, di andare al cinema, di sposarsi o divorziare, di ingrassare o di piangere, o di avere l'ernia del disco, senza essere costantemente spiata, assediata, braccata, con il pretesto del diritto di cronaca? E se è vero che il diritto alla privacy è stabilito per legge, non è anche vero che la legge è uguale per tutti? Un artista non rappresenta nessuno, rappresenta solo sé stesso, e, in quanto persona, non appartiene alla collettività. La sua produzione artistica, quella sì, è per gli altri, per chi vuole usufruirne e goderne, persino la sua persona – in senso fisico – è per gli altri, nel momento in cui è la sua persona il veicolo e lo strumento della sua produzione artistica, ma tutto deve finire lì. Nessun essere umano, insomma, per quanto grande possa essere la sua popolarità, dovrebbe essere definito “pubblico”, nel senso di “appartenente alla collettività”. E’ evidente che il problema nasce quando si confonde il “ruolo” con la “persona” portatrice di quel ruolo. Un’argomentazione spesso addotta dai paladini del diritto di cronaca ad oltranza è che, non fornendo notizie certe, si dà adito ad un aumento della curiosità morbosa e alla diffusione di notizie inventate (la Pivetti giustificò in questo modo il suo furore presenzialistico in occasione delle sue nozze). Mi viene in mente un episodio della mia giovinezza avvenuto durante un Carnevale: aggredita, insieme ad un’amica, da un gruppo di ragazzini scalmanati armati di famigerati – e dolorosi – manganelli di plastica, mi sentii fare questa proposta: se avessimo consentito loro di darci qualche botta leggera, poi ci avrebbero lasciate in pace ed avremmo evitato le botte pesanti. Addossata ad un muro, cercai inutilmente di far capire a quei mini-energumeni che la strada in cui ci trovavamo non era tra quelle preposte ai pubblici festeggiamenti carnascialeschi, e che il mio diritto di essere lasciata in pace non poteva essere contrattato. Il cervellino acerbo dei manganellatori stava ancora cercando di captare il mio ragionamento quando arrivarono dei poliziotti. Ho adorato Battisti, ascolto ancora le sue canzoni. Gli sono grata per i momenti bellissimi che mi ha regalato, mi sono dispiaciuta profondamente per la sua malattia e per la sua scomparsa, ma il fatto che la sua musica, la sua voce, siano entrati nella mia vita, non mi autorizza ad entrare nella sua vita, nella sua vita di persona, alla quale si deve lo stesso rispetto dovuto a chiunque altro. E’ legittimo desiderare di saperne di più, non è legittimo pretenderlo. Allora, cari signori giornalisti: è vero, il vostro lavoro è informare; informare significa riferire dei fatti, e i fatti da riferire, durante la malattia di Battisti erano: Battisti sta male, ma ha chiesto di essere lasciato in pace; la sua famiglia desidera rispettare la sua volontà, amici e conoscenti esprimono la loro preoccupazione ed il loro dispiacere; i medici seguono giustamente il loro codice deontologico. Punto. Questa è informazione seria e onesta. La curiosità morbosa, da qualunque parte provenga, e per quanti soldi possa fruttare, va ignorata.

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