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La busta col panettone

Paola Locci

La Signora Abbondanza era la mia maestra della scuola materna. Il suo nome si modellava a pennello sulla sua immagine: era una donna alta, rotonda, morbida, con un amore sconfinato verso i bambini che avevano la fortuna di esserle affidati da mamme titubanti ma, allora, fiduciose. Questa abbondanza di amore traboccava dal suo sorriso, ma anche dal generoso impegno che metteva in ogni attività. Preparava a casa dei meravigliosi cartoncini decorati, a tema, e, per le grandi occasioni, dei pupazzetti di pannolenci; per ognuno di noi. Ci avviò al disegno ritagliando delle piccole sagome in carta colorata che potevamo comporre in forme diverse, incollandole poi su dei foglietti che venivano archiviati in belle buste personali. Dei contrassegni che disegnava personalmente - il mio era un panettone - venivano apposti sulle buste, per riconoscere il materiale di ogni bambino da quello degli altri. E poi c’erano i giochi in cortile, le canzoni, le letture ad alta voce. Stavamo imparando a scrivere e, come allora si usava, ci esercitavamo lettera per lettera: una paginetta di “a”, una paginetta di “b”, e così via. Ricordo lo sforzo, lingua tra i denti, per disegnare ogni lettera un po’ meglio della precedente. E le cornicette…! Le cornicette – disegni che contornavano sopra e sotto ogni pagina - erano a nostro piacere, e compensavano la piccola noia dell’esercizio di scrittura. La maestra ci invitava continuamente a tirar fuori la nostra fantasia, la nostra infinita curiosità. La sensazione di Libertà avvolta in un calore protettivo e sicuro, sperimentata in quei due anni, me la porto appiccicata addosso ancora oggi, insieme alla mia busta col panettone. Alle elementari la maestra era la Signora Sabatini. Una donna energica, con un volto da francobollo o da moneta, uno di quei volti adatti a raffigurare una nazione, o un simbolo, che so… la prudenza, l’arte, la dignità. Era severa la Signora Sabatini, ma anche da lei emanava come un vapore benefico, la passione per il suo lavoro, la voglia di trasmetterci tutto il trasmissibile. Era giusta, equilibrata, pretendeva compiti ordinati e unghie pulite, da tutti, non importava da quale ambiente provenissimo. Esercitava la sua autorevolezza senza esagerare mai, perché il potere che un adulto inevitabilmente ha sui bambini è pericoloso solo quando è esercitato per compensare frustrazioni e fallimenti personali. E la Signora Sabatini non era affatto una donna frustrata oh no! era una donna appagata, conscia del suo ruolo, della sua influenza su delle menti così acerbe, e quindi dell’enorme responsabilità che aveva. Anni impegnativi, esaltanti: le gare di verbi, le gare di aritmetica, i piccoli premi per i nostri piccoli successi, quello sguardo sempre vigile ed esigente su di noi, così diretto e apportatore di sicurezza. La quinta la feci in un’altra scuola, per un trasferimento familiare. La Signora Sabatini – mai vista una lacrima in 4 anni - si era commossa all’idea che non sarebbe stata lei a condurmi fino al traguardo. La nuova maestra non era eccezionale, e l’inserimento in una nuova classe, di un altro quartiere, non fu facile. Ma anche quella fu un’esperienza utile perché imparai che non si può sempre avere il meglio. La Signora Tamì Cascino fu la mia adorata insegnante di lettere alle medie. Già anziana, di origini russe, il primo giorno di scuola andò alla lavagna, disegnò degli orribili scarabocchi che, con molta buona volontà, potevano sembrare degli animali e attaccò allegramente a raccontarci lupus et agnus in latino. Dopo pochi minuti eravamo affascinati. In terza media scrivemmo una commedia in latino, la rappresentammo e fummo tutti promossi con 8 e 9, senza mai aver dovuto declinare rosa rosae. Naturalmente capitò anche l’insegnante balorda, era quella di inglese, ma la nostra confidenza con la Cascino era tale che ne parlammo con lei. Lei ci tranquillizzò spiegandoci che la collega non era cattiva ma stava vivendo un brutto periodo per gravi problemi personali e dovevamo cercare di avere un po’ di pazienza, non trascurando di studiare. Incredibilmente, la prof d’inglese, dopo averci bistrattato per 3 anni, all’esame di terza media fu gentile e promosse tutti. Ma non era questo l’importante. L’importante era che avevamo imparato che un insegnante poteva non essere all’altezza del proprio ruolo ma questo non ci esimeva dallo studio, che chiunque poteva sbagliare ma bisognava cercare di non giudicare, e soprattutto che è possibile tollerare un po’ di disagio senza che crolli il mondo. L’ultima insegnante che voglio qui ricordare è quella del ginnasio: la Signora Limiti. Sembrava la sorella minore della Sabatini: forte, decisa, con uno sguardo vivido e attento che le era sufficiente per gratificarci o per rimproverarci. Una volta la vidi incenerire, senza una parola, un ragazzo che non aveva ceduto il passo ad una compagna. A nessuno permetteva la benché minima mancanza di rispetto, o atteggiamenti sciatti e trasandati. Ma il suo rigore era per noi e non contro di noi. Non si poteva dire altrettanto dell’insegnante di matematica, un po’ acida e, ancor peggio, del tutto disinteressata al fatto che noi apprendessimo o meno qualcosa. Non era un dramma: avevo già imparato che a volte, insieme al positivo bisogna tollerare anche un po’ di negativo e che un cattivo insegnante fa un gran danno soprattutto a sé stesso. L’ultimo giorno degli esami di ginnasio aspettai tremebonda la Signora Limiti fuori dalla scuola per esserne rassicurata – mi sembrava di aver sbagliato tutto – e lei mi sorprese con un sorriso e una carezza: fissando quegli occhi penetranti capii che aveva sempre saputo dei miei problemi (un periodo familiare difficile), anche se non mi aveva per questo fatto sconti. Quel “va tutto bene, stai tranquilla”, quasi da donna a donna, lo ricorderò tutta la vita: fa parte della mia preziosa riserva di risorse anti-stress. Lo so, qualcuno penserà che sono stata fortunata. In parte sì, in parte no. La fortuna spesso va aiutata. Mia madre era dei primi del novecento e aveva imparato a leggere e scrivere da sola, armata solo della sua intelligenza e, quando si trattò di mandare sua figlia a Scuola, quel luogo magico e misterioso dove lei non aveva mai messo piede ma che doveva essere meraviglioso, comprese rapidamente che bisognava non solo scegliere la scuola giusta, ma bisognava informarsi su quale fosse la sezione migliore e poi darsi da fare per iscrivermi proprio in quella sezione. Non a caso sia la scuola media che il liceo non erano quelli più vicini a casa. Cosa voglio dire? Che oggi come allora per la Qualità non servono i soldi, non conta la classe sociale, persino la politica conta poco. Quello che conta davvero è l’Impegno, la Passione; il buon senso che non ti fa dare tutto per scontato, la saggezza che non pretende tutto e subito ma cerca faticosamente l’eccellenza. Insegnanti appassionati, genitori responsabili e maturi che trasmettano ai giovani la capacità di trasformare una difficoltà in opportunità di crescita nuove e diverse, invece di lanciarsi con loro in rivendicazioni e piagnistei. Questo serve. Vi è sembrato un amarcord nostalgico e un po’ deamicisiano? Forse, ma ancora oggi io guardo alla Scuola come ad un luogo meraviglioso e magico, nella speranza che torni ad essere lo spazio sacro dove i ragazzi possano sentirsi talmente protetti da riconoscersi totalmente liberi, e dove possano assorbire virtute e canoscenza, e non aggressività, arroganza e violenza. Dove possano affilare le armi della mente prima di affrontare la vita. Certo, i giovani sono presuntuosi, tutti, in tutte le epoche. Pensano sempre di saperne più delle generazioni precedenti, pensano sempre di poter cambiare il mondo senza passare attraverso preparazione ed esperienza. E’ naturale che sia così. Ma proprio per questo non devono essere mandati allo sbaraglio. Ecco perché gli adulti dovranno avere molto coraggio e tornare a fare gli adulti.

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