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Curare i “tumori dell’anima” e migliorare la propria salute

di Barbara Rossi

 

La sensazione diffusa, parlando con le persone, quotidianamente, è che ci sia una notevole diffusione di situazioni di sofferenza psichica, di paure, di angosce, di cui tutti parlano, magari scherzandoci sopra, con la fatica di dare effettiva importanza a un malessere che non si conosce bene, di cui non ci sono spesso le parole per esprimerlo. Sono tante le situazioni che poi saltano all’occhio spesso, purtroppo, quando è troppo tardi, quando finiscono sui giornali, nella cronaca nera. Allora ci si interroga, sul come è successo, sul perché non è stato fatto abbastanza per evitare l’inevitabile, sul come si poteva fare per capire, sul come si fa a distinguere tra chi soffre e sta per affogare e chi si lamenta per urlare la sua richiesta di attenzione. Non è per nulla semplice dare una risposta a queste domande. Pur rispettando infatti il diritto di seguire la strada che si vuole, anche a costo di sbagliare e dover poi fare i conti col rimorso, o con ciò che non sarà più, l’impressione è che troppo spesso la scelta di vivere in un modo o di non vivere più sia espressione dell’impossibilità di una vera scelta e dell’intolleranza del vivere attuale. Non è per nulla facile sapere ciò che si vuole davvero e realizzarlo, con le fatiche che saranno necessarie. In questo senso il suicidio diventa l’ultima carta da giocare, quando il gioco è ormai alla fine. Credo che queste situazioni debbano far pensare non tanto e non solo a chi se ne è andato, ma a chi resta, a chi vive nell’incertezza e nell’insoddisfazione della propria vita, a chi sta sperando di essere fermato, prima che sia troppo tardi. I tumori dell’anima, l’angoscia di vivere, la paura-panico, ovvero “i mostri dell’immaginario” così come li definisce Leopolda Fortunati, membro di commissioni della Comunità Europea come sociologa dell’educazione e delle telecomunicazioni, sono infatti condizioni emozionali che si espandono e che coinvolgono ogni età, dai bambini agli adulti. Si ha un’immensa paura del vuoto, della solitudine, dell’abbandono, dei mostri, del lavoro, della scuola, dello stadio, di non piacere, di essere dimenticati. Quali segnali dobbiamo imparare a leggere per capire se chi ci sta vicino sta vivendo bene o se ha bisogno di aiuto? Premesso che tutti potrebbero avere bisogno di aiuto, resta la domanda di capire il confine, quando diventa “indispensabile”. Spesso le persone, per abitudine o paura o altro, tendono a non attribuire il loro disagio a cause psicologiche, spostano l’attenzione dalla sofferenza mentale ad altro, ad esempio lamentano disagi fisici al posto di una problematica psichica. L’ammalarsi di frequente è un sintomo che segnala un disagio, così come il frequente dolorare di una parte del corpo (mal di testa, di stomaco, di schiena, ecc.), oppure l’isolarsi, l’arrossire o impallidire eccessivamente in certe situazioni, l’imbarazzante sudorazione, l’essere troppo pigri e passivi, o impulsivi, aggressivi o violenti senza motivo; essere alquanto noiosi, essere infastiditi da tante e troppe situazioni, avere fissazioni, soffrire d’insonnia, presentare grossi problemi col cibo, ecc. Spesso la presenza di malattie fisiche oscura la possibilità di diagnosticare i disagi psicologici sottostanti, come ad esempio le forme depressive. Ma è solo curando il corpo e anche la mente che si può guarire da queste forme miste di dolore. Altro aspetto critico che rende difficile l’intervento precoce è la difficoltà di chi sta male nell’esprimere le proprie crisi di pianto, la propria tristezza o disforia; purtroppo la scarsa consapevolezza di stare male mette a repentaglio la propria salute psichica, in modi che sfuggono alla nostra volontà. Ne deriva che l’attenzione e l’intervento dei familiari, degli amici, dei sanitari diventa fondamentale perché la persona possa aiutarsi.

Ogni reazione eccessiva inspiegabile richiederebbe una comprensione attenta anche da parte di uno psicologo o uno psicoterapeuta.

Il problema principale infatti sta proprio nel riconoscimento precoce delle situazioni a rischio. Basti pensare che studi condotti in tutto il mondo indicano che il 90% di chi si suicida ha un disturbo psicologico o psichiatrico diagnosticabile al momento della morte (depressione maggiore, abuso di sostanze, dipendenza da alcool, schizofrenia), disturbo che se venisse curato con adeguata terapia ridurrebbe il rischio di suicidio e migliorerebbe la qualità della vita. Sì perché il problema non è solo di evitare la morte e “salvare un patrimonio umano”, cioè una vita, ma è anche quello di affrontare tutte quelle forme di “invalidità psicologica” che costringono a vivere da vegetale il nostro cervello e la nostra anima. Così come le strategie di prevenzione sanitaria in campo medico hanno permesso di intervenire precocemente su gravi malattie come i tumori, spesso evitando l’irreparabile, allo stesso modo auspichiamo avvenga per la salute mentale, per poter migliorare il proprio benessere evitando il peggio. Per tale motivo stiamo organizzando come CISP in tutta Italia una settimana dedicata alla prevenzione con la possibilità di avere un “chek up”, un’ora di counseling gratuita con uno psicoterapeuta. Un aiuto concreto ad aiutarsi.

 

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