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SENSO DI CATASTROFE: TRA TECNICA PSICOANALITICA INDIVIDUALE E GIOCO DI RUOLO NELL'ANALISI IN GRUPPO.


di Roberto Pani [1]

 

 


Introduzione

Riferendomi al senso di catastrofe, mi riferisco ad un’esperienza vissuta con senso di minaccia interna come se una base importante o vitale appartenente alla struttura psichica di Sé fosse sul punto di crollare. Il senso di autocedimento è solitamente conseguente all’evento di percepire se stessi di fronte ad una svolta drammatica ed inevitabile[2].Il soggetto, specialmente quando psichicamente fragile, si organizza in modo difensivo di fronte alle minacce esterne/interne, irrigidendosi ed in qualche modo paralizzandosi.Assai spesso la situazione di cambiamento che è concepita all’interno di Sé come catastrofica, può provocare reazioni psicosomatiche, con-fusione, manifestazioni di terrore seguiti da attacchi di panico: non sono rare difese schizoidi e pensieri di morte seguiti anche da tentativi di suicidio.Questi segnali di crollo emergenti indicano che l’Io non è sufficientemente in grado di rappresentare a se stesso la situazione psicologica interna, pertanto di sentire, né di muoversi all’interno di un spazio simbolico (Bollas 1987). Pertanto il paziente tende a prendere alla lettera tutti i messaggi che gli vengono inviati, senza poter distinguere la musica dallo strumento: tale mancanza di flessibilità nell’elaborare il pensiero simbolico inevitabilmente implica vissuti e soluzioni drammatiche che aggravano il senso di equilibrio del Sé e conducono ad una sorta di paralisi del pensiero e dell’azione.Per esempio, sembra che gli alessitimici non siano in grado di riconoscere sufficientemente le proprie emozioni, cosicché la situazione conflittuale a livello inconscio, non può manifestarsi attraverso vie semplici d’espressione: pertanto non riescono ad sentire i propri desideri, né a trovare un senso convincente in ciò che fanno, (Bollas 1989). Gli individui alessitimici risultano pertanto essere limitati nel gestire la loro realtà emozionale interna ed anche nell’apprendere dall’esperienza quel che dall’esterno invece potrebbe nutrire ed irrobustire il loro senso di Sé.Le esperienze indigerite imprigionano il paziente all’interno del meccanismo della coazione a ripetere, (Freud 1914). Il soggetto non sperimentando a sufficienza l’autonomia interna tanto da sentire la libertà di compiere scelte significative, cioè di desiderare distintamente un oggetto altro da sé, non può tollerare il passaggio maturo che si svolge dal livello dell’impulso a quello dell’azione, poiché un tale piano comporterebbe il rischio di mettere in crisi l’indispensabile ed ossessivo sistema di autocontrollo.Questo genere di paziente non trova altra via d’uscita che quella di mettere in atto (acting out) impulsi e compulsioni che, nel loro attuarsi, permettono il sentire se stessi, ma anche, nella loro ripetitività, offrono l’illusione di percepersi ovattati all’interno di un guscio: è la dimensione immaginaria che loro stessi evocano, all’interno della quale cercano di assestarsi, che rappresenta proprio l’equivalente di questo stesso guscio (Pani 1989).Nella mia pratica in psicoterapia psicoanalitica, sia individuale che in psicoterapie condotte in gruppo, ho osservato più di una volta come per tali pazienti sia stato assai difficile, se non qualche volta impossibile, sperimentare il senso del movimento psichico del gioco e dell’alternativa di fronte ad una pressione esercitata da un bisogno urgente sperimentato all’interno di Sé. Ho anche osservato come nell’ambiente familiare originario, soltanto un genitore sia risultato significativo, mentre l’altro sia stato vissuto quasi assente o scarsamente importante. Mi sembra che, nella maggior parte dei casi, il genitore significativo sia rappresentato dalla figura materna, persona obiettivamente spesso ansiosa ed intrusiva verso il figlio/a, mentre la figura del padre appare inadatta ad offrire a questi pazienti una via d’uscita in alternativa agli attacchi derivanti dall’ansia materna.Riferendoci alla tecnica psicoanalitica duale, ritengo d’accordo con molti autori, per esempio, Gill (1982); Bollas (1987); Luborsky (1990), che tra i numerosi fattori psicoterapeutici specifici, utili al progresso del trattamento, il dialogo intrapsichico tra analista/analizzando, presente nella coppia analitica grazie all’analisi del transfert e la coscienza del controtransfert, costituisca il fattore psicoterapeutico di maggior efficacia, anche per gli approcci di tecnica breve.Penso che in psicoanalisi (includendo tutti gli interventi induviduali ed in gruppo) i movimenti psichici inconsci correlati con le esperienze del mondo interno paziente/analista entrino a far parte del setting come atti convenzionali espressi precipuamente dalla parola. Il setting appare allora come uno spazio riservato che si apre rivolgendosi ad un teatro della mente, (McDougall, 1985), cioè come ad una sorta di palcoscenico privato e protetto dove gli interlocutori interni sono gradatamente accolti come ospiti della scena. Con questi l’Io, aiutato dallo psicoanalista, cerca di dialogare e progressivamente di ridurre le distanze: i rappresentanti degli interlocutori interni emergono infatti nel setting come figure significative, cioè come derivati di situazioni pre-edipiche e edipiche ed altre tra loro intrecciate le quali si estendono e più o meno si trasformano attraverso le relazioni affettive più recenti.Lo psicoanalista dovrebbe essere pronto ad assorbire tali figure fantasmatiche che il paziente gli attribuisce. Si deve alla intuizione e capacità di distinguere al proprio interno tali immagini sovrapposte l’efficacia dell’interpretazione su ciò che sta accadendo nel qui ed ora della relazione: al tempo stesso, il direttore della cura mira con l’interpretazione al progresso del dialogo sia interpsichico che intrapsichico all’interno della coppia analitica a favore del cambiamento e dell’alternativa. Infatti tale conversazione intrapresa sopra tutto a livello inconscio, dovrebbe favorire nel paziente risposte alternative e promuovere in lui risoluzioni per la sofferenza.Come in un palcoscenico immaginario il discorso prende forma proprio quando il rapporto tra le varie comparse[3] ed il protagonista[4] acquista una propria fisionomia all’interno dello spazio-setting[5] e appare adeguatamente a fuoco, (Pani 1994).Nella tecnica duale, ove appunto è privilegiata la comunicazione verbale, accadono in verità atti od eventi che vanno considerati fuori dal setting o dalle regole, (Modell 1990). Ciò si verifica perché, all'interno del Sé, alcuni oggetti interni, direbbe M. Klein, oggetti che appunto personalmente preferisco chiamare interlocutori, sono ancor così attivi e conflittuali, da non poter essere rappresentati dalla mente, né nominati e pertanto padroneggiati dall’Io. Come conseguenza di ciò, l’Io non può dare voce, né corpo a tali interlocutori, neppure ai dialoghi conflittuali che possono svolgersi all'interno dello spazio analitico, giacché tale contesto virtuale si fonda sostanzialmente sulla comunicazione verbale: infatti riuscire ad esprimere attraverso le catene associative della parola implicherebbe dunque che i vissuti emotivi siano sufficientemente riconoscibili ed accettabili tanto da essere pensati, (Strachey, 1934).Per questa ragione, ho verificato come nelle patologie alessitimiche la tecnica dello psicodramma analitico in gruppo sia più efficace rispetto al setting esclusivamente verbale nel mediare e gestire movimenti psichici del mondo interno: in psicodramma analitico la comunicazione è consentita e valorizzata non soltanto per mezzo della parola, ma anche per

 

 

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