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      Coppia
      e Famiglia, istruzioni per l’uso  
        
        
      Luigi
      D’Elia
      
       
        
      Premesse
      
       
      Ciò
      che Zigmunt Bauman, il grande sociologo e pensatore della condizione
      Post-moderna, ha cercato di mostrare nel corso degli ultimi anni è stato
      che ad un incremento delle prerogative di libertà e autodeterminazione
      dell'individuo, tipiche delle società moderne e post-moderne occidentali,
      è conseguito un indebolimento del potere di validazione delle istituzioni
      sociali riguardo l'individuo stesso.In altri termini assistiamo negli
      ultimi decenni al progressivo smantellamento dei codici istituzionali e
      simbolici che definiscono sia l'idoneità sociale degli individui sia i
      suoi passaggi maturativi. A ciò va aggiunto il progressivo scardinamento
      dei codici comunitari (i motivi per i quali si convive con gli altri) che
      definivano, nel bene e nel male, appartenenze e identità.
      
      Risultato: sull'individuo ricade oggi un carico simbolico e
      operativo-procedurale che precedentemente era appannaggio delle
      istituzioni sociali, politiche e religiose, o quanto meno era
      significativamente sostenuto da esse.Dunque l'individuo si ritrova oggi a
      fare i conti, da solo, con attribuzioni di senso che riguardano sia i
      propri passaggi maturativi (infanzia-adolescenza-giovinezza-età
      adulta-mezz'età-vecchiaia-morte), sia tutti i compiti sociali (scuola,
      gruppi e culture extrafamiliari, lavoro, rapporti affettivi, coniugalità,
      genitorialità, etc..). Una missione praticamente impossibile se gestita
      in maniera solitaria.
      
      Questa breve premessa mi serve a disegnare la cornice dentro la quale, a
      mio parere, si devono inscrivere tutte le vicende che riguardano le
      prospettive di coppie e famiglie, e prima ancora, dei legami affettivi
      preliminari e successivi la formazione di coppie e famiglie. 
      Fuori da questa cornice diventano incomprensibili alcuni "nuovi"
      fenomeni contemporanei di "frammentazione" o di "faticosità"
      che a loro volta determinano le frequenti crisi di coppie e famiglie, che
      vengono surrettiziamente attribuite alla difettosità dei singoli membri.
      In un'ottica sistemica e secondo criteri epistemologici legati ai fenomeni
      complessi, non ha alcun senso e utilità un approccio riduzionistico che
      intervenga in maniera causalistica ed espiatoria sulla comprensione di
      tali fenomeni. Non esiste più infatti un'idea unitaria e condivisa di
      coppia e di famiglia e gli studiosi di scienze umane si affannano ad
      inseguire le definizioni di coppia e famiglia alla luce dei tumultuosi e
      caleidoscopici cambiamenti di assetto di strutture sociali precedentemente
      riconoscibili.Detto in parole povere, gli individui che si cimentano in
      progetti coniugali e genitoriali si ritrovano spesso da soli e privi di
      risorse, ed essere in coppia o in famiglia, sentirsi fautori e
      protagonisti di funzioni coniugali e/o genitoriali è diventato oggi un
      compito molto difficile al quale singoli e coppie fanno fronte con grande
      affanno. 
      
       
      QUALI
      SONO LE PRINCIPALI CRITICITà? 
      
       
      ALCUNE
      COORDINATE PER COPPIE E FAMIGLIE
      
       
      Due
      culture familiari s'incontrano
      
       
      Dobbiamo
      domandarci innanzitutto se sia corretto pensare all'incontro di due
      persone come ad un evento che riguarda due monadi isolate e due
      individualità totalmente autodeterminate e svincolate dalla loro storia o
      se dobbiamo piuttosto pensare a questo come all'incontro di due
      storie-culture familiari che si ritrovano a confrontarsi, attraverso i
      membri della coppia, su un terreno parzialmente nuovo, ancora tutto da
      coltivare.Ogni famiglia di origine infatti è portatrice di mentalità e
      visioni del mondo diverse e particolari, maturate nell'arco di generazioni
      che, come una sorta di matrice di riconoscimento, tende a lasciare il
      segno, più o meno profondo, nella generazione successiva. 
      
      Non mi riferisco solo alle abitudini, consuetudini, appartenenze sociali o
      ideologiche, che rappresentano l'aspetto esteriore della matrice, ma mi
      riferisco agli aspetti più profondi e radicati nella storia familiare che
      riguardano le modalità relazionali, emotive e affettive, i valori
      familiari, qui intesi come strategie di successo, in ogni campo,
      sperimentate nelle generazioni precedenti, ma anche le ferite ancora
      aperte (traumi, insuccessi, elementi non metabolizzati e irrisolti del
      passato) che come "pratiche inevase" ancora impegnano le
      successive generazioni anche se apparentemente sembrano non riguardare
      loro. Tutto ciò si dipana nella storia di ogni famiglia in maniera unica
      e originale. 
      Quando l'amore avvicina - fortunatamente - due giovani
      "estranei" facendoli giurare con parole di eternità su un
      reciproco patto di unione, gli elementi di novità e di speranza offuscano
      momentaneamente gli elementi di divergenza pur presenti. La
      regola dell'esogamia - regola universale di tutte le culture umane fin
      dagli albori che istituisce l'unione dei membri della coppia provenienti
      da gruppi umani non familiari - inscrive e promuove dentro ciascuno di noi
      la ricerca dell'altro/a complementare piuttosto che la ricerca del simile.
      Ma la ricerca dell'altro implica inevitabilmente un confronto, implicito o
      esplicito, della sua matrice con la propria. A volte tale confronto
      produce una dialettica innovativa e la costruzione di una realtà per
      certi versi originale (la nuova coppia, la nuova famiglia); a volte tale
      confronto corrisponde ad uno scontro nel quale ciascuna matrice familiare,
      interna a ciascuno, cerca di affermarsi sull'altra. 
      Frequentissimo, infatti, è il caso di coppie coniugali che trovano su
      questo il campo di battaglia principale: il conflitto coniugale si
      configura come una sorta di "guerra di religione" nella quale le
      parti in gioco sono le rispettive famiglie di origine (suoceri e suocere)
      che con le loro modalità e abitudini, i loro veti incrociati invadono
      pesantemente lo spazio psichico e fisico della coppia.Ma bisogni di
      continuità e contiguità con la propria matrice familiare e bisogni di
      autonomia e cambiamento s'intersecano variabilmente nelle vicende delle
      coppie non trovando mai punti di equilibrio definitivi, e andandosi spesso
      a scontrare con un mosaico confuso di aspettative, vincoli, dipendenze,
      personali e familiari.Dietro due individui che s'incontrano vi sono dunque
      due lunghe storie transgenerazionali, spesso sconosciute nei loro aspetti
      salienti, due gruppi familiari di appartenenza portatori di due culture
      familiari, con i loro conflitti e le loro fortune, le loro rispettive
      fatiche d'integrazione che si diramano genealogicamente; ma vi sono anche
      complessi sistemi di lealtà affettiva tra genitori e figli, tra fratelli,
      tra nonni e nipoti sui quali si articolano e s'intricano i nuovi legami
      affettivi della coppia e della nuova famiglia. Il vero e proprio
      "patto" di unione avviene al livello delle rispettive
      "famiglie interne" (e qualche volta anche esterne) dei membri di
      una coppia. 
      
      Ma come può avvenire la giusta "perimetrazione" dello spazio
      della nuova coppia o della nuova famiglia senza che questo si traduca in
      una impermeabilità e in una chiusura? Come si possono gestire le
      relazioni tra generazioni di famiglie? 
      
       
       Le
      insidie dell'endogamia
      
       
       Se
      l'esogamia, prima citata, è quell'invariante culturale che orienta la
      scelta del partner in territori extrafamiliari, l'endogamia rappresenta la
      forza opposta e contraria, presente in varia misura nelle nostre culture
      familiari (soprattutto alla luce dei recenti e rapidissimi mutamenti
      socio-culturali che sembrano spingere gli individui verso una chiusura).Mutuo
      il concetto di endogamia da altre discipline confinanti, antropologia e
      sociologia che definiscono l'endogamia come l'orientamento a contrarre
      unioni fra appartenenti allo stesso gruppo etnico, sociale o familiare,
      mentre dal punto di vista psicodinamico l'endogamia si traduce in una
      tendenza conservatrice della psiche maturata in alcune culture familiari,
      e trasmessa alle generazioni successive, ad individuare all'interno del
      territorio psichico della famiglia stessa tutte le risorse atte ad
      assolvere alla maggior parte dei bisogni affettivi e relazionali, ma anche
      ai bisogni di sicurezza, di sussistenza, normativi, morali. 
      Nelle mentalità endogamiche la famiglia di origine, oltre a diventare
      pressoché l'unica fonte affettiva, diventa anche una fonte legislativa
      assoluta, cioè autonoma dai codici culturali della società, una sorta di
      stato indipendente nel quale vigono leggi autoctone situate a volte molto
      lontano dalle consuetudini valoriali condivise. In tali mentalità si
      massimalizza il principio di appartenenza (fino a farlo diventare un vero
      e proprio sentimento di proprietà) tra i membri della famiglia: ciascuno
      sente fortissima ed esclusiva l'appartenenza agli altri membri della
      famiglia e contestualmente sente che gli altri gli appartengono ugualmente
      in maniera esclusiva. 
      
      Una prima conseguenza di una struttura psicologica endogamica è la
      difficoltà a dialogare con altre mentalità, a farsi contaminare, una
      tendenza ad avere approcci ideologici ai problemi, quindi una difficoltà
      ad apprendere nuove competenze sociali, ma anche ad apprendere in genere
      strutture complesse. Un secondo punto è rappresentato dalla
      difficoltà nelle relazioni affettive e amorose, la difficoltà cioè ad
      integrare elementi extrafamiliari nelle strette maglie del proprio tessuto
      psichico: sembra che non ci sia molto spazio per nessun altro e ogni
      tentativo di "evasione" viene vissuto come grave atto di slealtà
      e come indebito tradimento verso la propria famiglia di origine. Un
      terzo punto critico e che le mentalità endogamiche tendono ad essere
      statiche e autoreferenti, a non evolversi, ma ad autoperpetuarsi
      difettando di adattabilità e flessibilità: le mentalità endogamiche
      tendono a costruire intorno a sé essenzialmente realtà familistiche. 
      
      In sintesi, la tendenza all'endogamia psichica comporta un veto al
      comportamento esplorativo, una chiusura affettiva e una tendenza al
      disadattamento sociale a favore dell'esasperazione del "legame"
      familistico a scapito della "relazione". 
      
       
      Figliogconiugeggenitoregnonno:
      
       
      diventare
      coniuge, diventare genitore
      
       
      Questo
      flusso progressivo del ciclo vitale qui sinteticamente indicato -
      Figliogconiugeggenitoregnonno - non vuole minimamente proporsi come
      modello e tragitto ideale da dover seguire: ci si può sentire
      tranquillamente idonei e adeguati pur scegliendo di non entrarvi.Non c'è
      dubbio però che gran parte di noi, volente o nolente, ci entra e si
      ritrova dentro ad affrontare numerose questioni. 
      Ma come detto nelle premesse, questi passaggi maturativi che fino a
      una/due generazioni fa erano generalmente regolati silenziosamente da
      impliciti sincronizzatori socio-culturali sia per le modalità di
      transito, sia per le specifiche funzioni di ciascun passaggio (non
      c'erano, fino a 50-60 anni fa, grosse crisi nel sentirsi ragazza "da
      marito" o ragazzo "da moglie", o nel sapere come si
      comporta un genitore o un nonno, o come si gestiscono le relazioni tra
      famiglia di origine e nuova famiglia), oggi sono stati delegati al singolo
      individuo il quale è costretto a gestirsi da solo un carico
      simbolico-procedurale immane, dovendosi di volta in volta
      "inventare" ciò che attiene ogni passaggio e ad ogni funzione,
      senza il conforto di riferimenti chiari. 
      
      Diventa arduo dunque ogni singolo passaggio maturativo perché vissuto a
      volte come salto nel buio, come indebita complicazione della vita, come
      responsabilità intollerabile, come irreversibile scelta per la quale ci
      si ritroverà da soli ed incapaci a risolvere le varie gigantesche
      impellenze.Ciò che va innanzitutto detto è che i singoli ruoli-funzioni
      del flusso  - Figliogconiugeggenitoregnonno - non sono alternativi e
      successivi, come il vissuto immediato più comune porterebbe a credere, ma
      articolati e aggiuntivi: chi diventa coniuge non cessa di essere figlio;
      chi diventa genitore non cessa di essere coniuge e figlio; chi diventa
      nonno non cessa di essere coniuge e genitore.Entrare nella funzione
      coniugale, ad esempio, può invece spesso coincidere con l'idea di perdita
      irreversibile e catastrofica delle prerogative-certezze del ruolo-funzione
      filiale, ma per fortuna questo è soltanto un timore indotto dall'attuale
      clima sociale assai incerto. Si tratta in realtà di imparare a
      coniugare ed integrare, in una articolazione più complessa, i diversi
      ruoli-funzioni che si sovrappongono in uno scenario interno più ampio. Ma
      anche solo questo "sforzo di fantasia" può rappresentare oggi
      un compito ancora troppo arduo per taluni. A volte quindi la pratica di
      una vita di coppia, anche consolidata, non corrisponde affatto ad una
      posizione interna coniugale piena di ciascun membro. 
      
      Una considerazione che si sente spesso fare, alla vigilia di una scelta
      coniugale o alla vigilia della nascita di un figlio è: <<come posso
      fare la compagna o il compagno, oppure la madre o il padre, se mi sento e
      sono ancora figlia/o? Non sono pronta/o, è un compito troppo alto>>.Oppure,
      quando si affrontano questioni delle giovani coppie stabili in uno stallo
      della progettualità, si sentono fare, tra le tante, queste
      considerazioni: <<lui/lei non si assume nessun impegno formale nei
      miei confronti>>; <<ci annoiamo l'uno dell'altro>>;
      <<mi sembra troppo esitante e dubbioso/a, forse non ci amiamo più>>;
      <<siamo diventati come fratello e sorella>>; <<io vorrei
      un figlio, ma lui/lei non ne vuole parlare>>; e così via.  
      
      Oppure, facendo ancora un passo indietro, quando l'individuo (più o meno
      giovane) si confronta con la difficoltà di approccio o di definizione o
      di alleanza con l'altro sesso, magari dopo una serie di tentativi
      fallimentari e deludenti, si sente dire: <<sento di non avere alcuna
      speranza di incontrare una persona adatta a me>>; <<non c'è
      nessuno all'altezza delle mie aspettative>> o viceversa <<non
      sono all'altezza delle aspettative altrui, sono fuori dal giro>>. 
      Tutte queste considerazioni, ed altre ancora, molto comuni nei contesti
      psicoterapeutici, ma non solo, indicano, nei diversi momenti di vita
      dell'individuo, la faticosità del passaggio-articolazione figliogconiuge.
      
      Tra uno scenario certo, anche se angusto e privo di profondità
      prospettiche, ed uno incerto e laborioso diventa legittimo decidere di non
      decidere e  di rimanere fino ai 30-40 anni a casa coi genitori - dato
      ampiamente confermato dalle statistiche sociali degli ultimi anni e che ha
      assunto oramai carattere generalizzato - solo che le più comuni analisi
      su tali dati enfatizzano le incertezze socio-economiche tipiche dei nostri
      tempi, ma non approfondiscono le trasformazioni culturali del tessuto
      familiare di cui si fa riferimento qui.Un secondo passaggio-articolazione
      delicato riguarda quello tra coniugalitàggenitorialità. Anche questo
      transito, in epoche limitrofe a noi ancora lineare e scontato, è
      diventato oggi complicatissimo. Anche se giuridicamente una coppia può
      essere considerata una famiglia, dal punto di vista psicologico possiamo
      parlare propriamente di famiglia quando sono presenti almeno due
      generazioni. 
      
      Oggi una sorta di angoscia generativa pervade molte coppie giovani e meno
      giovani, indipendentemente dal loro grado di "robustezza": anche
      per quelle coppie collaudate e stabili - compagni o sposi - il momento
      della decisione del concepimento è preceduto spesso da una crisi profonda
      del rapporto; per le coppie meno collaudate, ugualmente, la dichiarazione
      di desiderio di un figlio da parte di un membro è a volte motivo di
      separazione. La denatalità della nostra civiltà è infatti un dato ormai
      noto a tutti. 
      
      Intanto va detto che l'attuale enfasi, per certi versi comprensibile,
      posta sulla consapevolezza della scelta e sulla solidità del desiderio in
      merito alla nascita di un figlio, è un fenomeno culturale piuttosto
      recente e sembra produrre piuttosto effetti paradossali e
      controproducenti: l'arrivo di un figlio in una neo-famiglia diventa sempre
      più una specie di "evento capitale" che viene investito da
      eccessive aspettative e timori.D'altro canto, se nei decenni passati la
      nascita di un figlio in una coppia sposata da poco attestava la nascita
      della famiglia stessa ed era unanimemente considerato una
      "grazia", un evento fortunato che "aggiungeva"
      qualcosa, oggi è avvenuto un ribaltamento di questo significato nel suo
      opposto: un figlio "priva" i genitori della loro autonomia e
      libertà di movimento, della loro possibilità di realizzazione
      socio-lavorativa (o quantomeno la frena) e casomai aggiunge preoccupazioni
      e sentimenti di responsabilità gravosissimi.Aggiungiamo a questo quadro
      psico-culturale le oggettive difficoltà prodotte dalla reale "inaccoglienza"
      dell'intera società verso i nascituri: problemi economici per le coppie
      giovani e mancanza di sostegno sociale, carenza di strutture, percezione
      di pericolosità per i bambini, sentimento di assenza di prospettive per
      il loro futuro, e così via. Insomma assistiamo ad una saldatura tra
      timori interni e difficoltà esterne, per cui affrontare la generazione e
      la generatività è diventato un problema enorme.In presenza di un eccesso
      d'incertezza la psiche umana si difende legittimamente proteggendo ciò
      che ha già come acquisito e, come detto, si arrocca recedendo su
      posizioni meno fluttuanti: la famiglia di origine o in alternativa la
      coppia stabile non generativa (ma potrebbe essere anche il lavoro), che
      diventano immediatamente territori psichici di rifugio (almeno
      nell'immaginario).Sono sempre più frequenti le situazioni di coppie
      fidanzate o sposate, anche da tempo, che decidono di non fare figli, ma
      ancora più numerose sono quelle coppie stabili e conviventi, che superati
      i 30-35 anni, dopo anni di silenzio e di rimozione, cominciano timidamente
      a porsi la questione della genitorialità trovandosi però del tutto
      impreparati ad affrontare un cambiamento di questo tipo. Altre coppie che
      invece ingaggiano interminabili querelle sul tema del decidere, ed altre
      coppie ancora che, una volta deciso di fare un figlio, vivono momenti
      laceranti e disorientanti. 
      Il sentimento di "fondazione" che caratterizza lo spirito
      d'intraprendenza e d'innovazione dei neo-coniugi o neo-genitori, rischia
      così di essere meno presente nelle nuove generazioni. 
      
      Ci si domanda a questo punto come mai, alla luce di questi attuali
      scenari, i figli continuino  a nascere lo stesso (anche se meno, come
      abbiamo detto)... Evidentemente, gli elementi del desiderio finiscono per
      fortuna comunque per prevalere su timori e incertezze. 
      
       
      Crescere
      (con) i figli
      
       
      La
      nascita di un figlio rende tale la nuova famiglia, ma rende tali anche i
      genitori che possono, dopo questo evento, aggiungere alla definizione di
      coniuge l'appellativo di padre e madre. 
      Ma la nascita di un figlio non determina ipso facto la maturazione di una
      genitorialità compiuta: essa è comunque il risultato di un processo di
      cui il figlio rappresenta una "buona occasione". Molti sono
      infatti i genitori che dichiarano di essersi sentiti tali solo anni dopo
      la nascita dei figli, laddove molte funzioni genitoriali sono intanto
      assolte dai nonni (oppure rimangono eluse). 
      Come abbiamo detto, i genitori sono contestualmente figli e coniugi e
      spesso il loro essere e sentirsi ancora figli a tempo pieno rappresenta
      una fatica indebita in merito alla necessità di esplorare la propria
      nuova funzione di genitore.Ma sentirsi "fondatori" di una realtà
      chiamata nuova famiglia, anche se fa sempre più paura, rimane
      un'esperienza importantissima nella vita di un uomo o di una donna, dunque
      un'esperienza decisamente da consigliare. 
      I nuovi genitori devono tra le tante cose, riuscire ad assolvere a
      numerosi compiti. 
      
       
      Senza
      la pretesa di essere esaustivo, vediamone alcuni: 
      
       
        
      
        
          
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             | 
            
               Fornire
              ai figli un ambiente accogliente, fisico e affettivo. 
             | 
           
          
            | 
               
              
              
              
               
              
               
             | 
            
               Fornire
              ai figli due genitori presenti. 
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               Fornire
              ai figli pochi semplici, ma granitici, principi educativi comuni
              ai genitori. 
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               Fornire
              ai figli una vita sociale, cioè delle competenze sociali che lo
              rendano in grado d'interagire col mondo esterno. 
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               Fornire
              ai figli le possibilità di riconoscere e coltivare le proprie
              inclinazioni.  
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               Fornire
              ai figli gli strumenti per esplorare la complessità della vita. 
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               Fornire
              ai figli la possibilità di andare per la propria strada e di
              sentirsi, ad un certo punto, scomodi. 
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      I
      novelli genitori imparano già dai primi anni cosa vuol dire accudire un
      essere umano totalmente dipendente da sé; imparano a sapere cos'è una
      preoccupazione genitoriale e a gestire le ansie; imparano cosa vuol dire
      fare degli errori; imparano a gestire le ambivalenze verso una creatura
      che si ama oltre ogni altra cosa al mondo, ma verso la quale, quando non
      ci fa dormire, quando ci perseguita coi suoi bisogni, quando c'inchioda
      alle nostre responsabilità, si provano anche sentimenti contrastanti.Nel
      corso della vita familiare, uno dei principali motivi di frizione tra i
      coniugi-genitori è l'educazione del figlio. Su questo terreno delle
      differenti visioni educative convergono facilmente precedenti contrasti
      della coppia relativi al confronto/scontro tra le rispettive culture
      familiari. 
      I modelli educativi differenti diventano dunque l'estensione del conflitto
      già esistente tra i coniugi.Non si tratta di enfatizzare un'ideale e
      supposta identità di vedute tra i genitori, spesso frutto di una sorta di
      ragion di stato familiare ottenuta a scapito della personalità di un
      coniuge, o a scapito di una sana ed esplicita dialettica interna tra i
      coniugi, ma si tratta di comprendere che un accordo minimo su pochi ed
      inossidabili principi comuni e basilari è una condizione preliminare per
      un figlio che necessita di orientamento. 
      I figli, inoltre, sanno da sempre di essere il collante della famiglia, ed
      esercitano questa funzione in ogni modo. 
      In alcune situazioni problematiche accade a volte che il figlio diventi
      suo malgrado il crocevia, non solo di semplici malumori e o di tensioni di
      coppia (fatto questo inevitabile), ma anche di tentativi di uno o entrambi
      i genitori di tirarlo per la giacchetta. Laddove un genitore si sente solo
      ed incompreso può pensare di rivolgersi al figlio come ad un confidente
      privilegiato per le diverse lamentazioni comprese quelle relative al
      coniuge, o per ammansirlo e sedurlo con un patto di alleanza e di lealtà
      nel quale l'altro è escluso. A volte, quando ci sono più figli, queste
      alleanze diventano schieramenti frontali che trasmettono le spaccature
      coniugali anche al livello della relazione tra fratelli schierati
      inconsciamente con uno o con l'altro genitore. 
      Questa condizione può determinare il posizionamento del figlio nel ruolo
      scomodissimo di ago della bilancia, dunque in una posizione di strapotere
      indebito in famiglia (che diventa prestissimo un boomerang per lo stesso
      figlio), ma anche in una posizione di inconsistenza ed inutilità assoluta
      nel momento in cui egli si rende conto che il vero oggetto del contendere
      è la relazione di coppia.Conseguenze ancora più preoccupanti per la
      salute mentale del figlio avvengono quando questa dinamica di mediazione
      impropria tra i genitori nella quale si ritrova un figlio si risolve col
      suo reclutamento in una pseudo-relazione esclusiva e paritaria nella quale
      viene annullata la differenza generazionale. Ogni forma di negazione del
      gap generazionale è veleno per la mente. 
      Quando si parla di modelli educativi, è inevitabile fare riferimento a
      quelli, molto differenti, che ci hanno preceduto. Le nuove generazioni di
      genitori si sono contraddistinte come particolarmente discontinue rispetto
      alle precedenti in merito ai modelli educativi. Hanno legittimamente messo
      in crisi modalità e simbologie a volte rigide e repressive del passato,
      ordini istituiti formalistici, ruoli svuotati di spessore, e si sono
      spesso proposte come più consapevoli, innovative e alternative. 
      Una frase che si sente ripetere oramai da alcuni decenni è: <<non
      commetterò con i miei figli gli errori che i miei genitori hanno commesso
      con me>>, e si pensa, quando si dice questo, alle privazioni, ai
      sacrifici, a volte alle vessazioni subiti durante l'infanzia in nome di
      una mentalità educativa austera ritenuta oramai superata e dannosa.In
      questa nuova ottica il bambino è stato investito massicciamente di
      speranze e aspettative trasformative come mai era successo in passato: in
      nessuna epoca come la nostra l'infanzia è diventata centrale e il bambino
      è diventato portatore di diritti sociali, di attenzioni affettive e
      morali, finalmente si riconosce al bambino la sua personalità, la sua
      mente, il suo essere "soggetto" ed il suo diritto a stare al
      mondo per quello che è. 
      
      Ma in questa stessa epoca nella quale essere coniugi e genitori è
      diventato, come detto, complicatissimo, anche essere bambini sotto la
      lente d'ingrandimento di genitori ansiosi di riscatto e timorosi di
      sbagliare è diventato ugualmente difficile. Ci si può sentire come degli
      "oggetti da cristalleria", preziosi quanto si vuole, ma
      "oggetti" appunto, per di più fragili come il cristallo.Non a
      caso questa è anche l'epoca dei bambini-operai, dei bambini-soldato, dei
      bambini maltrattati e trascurati, dei pedofili ad ogni angolo, soprattutto
      in casa.Insomma, come ci spieghiamo che l'epoca che "scopre" e
      valorizza l'infanzia è anche l'epoca che la maltratta di più? Come ci
      spieghiamo questo doppio registro culturale così contraddittorio? Strana
      coincidenza. La risposta a questa domanda richiede un'analisi complessa
      che qui non c'è lo spazio per sviluppare. Mi limito a dire che tutto
      farebbe pensare a quello che molto semplicemente si chiama "cattiva
      coscienza".La "cattiva coscienza" è quella delle culture
      sociopolitiche prevalenti che non riescono in alcun modo ad ottemperare ai
      bisogni di bambini e famiglie, evidentemente troppo in contrasto con le
      loro reali missions. 
      
       
       L'esercizio
      al racconto in famiglia:
      
       
      storie
      difficili e storie che curano
      
      
      
       
      Una
      caratteristica piuttosto comune, riscontrata in molte famiglie
      contemporanee, è la disabitudine al racconto: una sorta di veto alla
      trasmissione di storie e "miti" familiari, ma anche
      un'astensione più generale al dialogo tra le generazioni.La tradizione
      orale, che da sempre ha contraddistinto la nostra specie rappresentandone
      in qualche modo anche la sua fortuna, è stata recentemente soppiantata da
      altri dispositivi narrativi più impersonali.Sembra proprio che oggi non
      venga affatto valutata correttamente l'importanza della trasmissione di
      storie familiari, scambiata facilmente con lo sterile e noioso esercizio
      di retorica e reiterazione istituzionale, contraddistinto da valenze
      inautentiche e moralistiche, dunque immediatamente stigmatizzato dalle
      nuove generazioni. Ma non è certo a questo tipo di racconto, del tutto
      inutile, a cui ovviamente alludo qui, ma a quello che trasmette materiale
      psichico immediatamente utilizzabile, quello che infonde sicurezza e
      fornisce strumenti operativi alle generazioni successive. 
      Questa notazione assume una sua specificità se pensiamo che nelle storie
      delle famiglie è possibile rintracciare non solo le criticità, ma anche
      le risorse vitali e terapeutiche.La prospettiva che qui viene proposta è
      quella che parte dal considerare la famiglia e l'individuo di cui fa
      parte, come il punto di arrivo di una lunghissima storia di cui nessun
      membro della famiglia è pienamente consapevole e portatore, ma a volte
      soltanto “esecutore”.L'individuo appartenente all'ultima generazione
      è dunque l’ultimo capitolo di una trama transgenerazionale che gli
      appare spesso oscura o sconosciuta. Partendo da  questa apparente
      impossibilità di visualizzazione da parte dei membri della famiglia delle
      vicende e delle connessioni storiche, è però possibile avere accesso al
      mondo familiare come se si entrasse in un territorio inesplorato: basta
      semplicemente cominciare a raccontare! Ed imparare ad ascoltare.
      Se prendiamo in considerazione le situazioni più problematiche, risulta a
      volte che le storie familiari, che giungono fino alle ultime generazioni,
      quando riescono ad essere finalmente raccontabili, sono quasi sempre
      storie che ad un certo punto s’interrompono, o meglio ancora, sono
      storie che s’impantanano in territori di non-senso, conducendo
      l'individuo a frenare, anche bruscamente, il proprio percorso maturativo e
      a bloccare ogni compito evolutivo personale e sociale.
      A volte la persona si isola, si chiude in casa, disimpara a lavorare, a
      studiare, a frequentare gli amici, a contattare i partners, ad
      interessarsi di aspetti creativi: entra in una circolarità “viziosa”
      nella quale esiste solo il disagio o certi sintomi, ultime vestigia di una
      comunicatività divenuta impossibile, residui tossici privi di
      significato, quasi come se alcune parti della mente fossero morte o
      danneggiate.Ciò che sembra avvenire è che l'individuo e, molto spesso,
      la sua famiglia non sono più in grado di leggere la realtà ed interagire
      con essa, come se la storia di cui sono portatori non consentisse di
      procedere oltre: qualcuno si ferma ai compiti adolescenziali fermandosi
      sul bordo della vita adulta o molto prima (studi, servizio militare, primi
      compiti sociali, lavoro, affetti, sessualità); qualcuno sembra andare
      oltre: sostiene i primi esami universitari, o si laurea, o si sposa, mette
      su famiglia, lavora più o meno stabilmente, ma all’improvviso sembra
      non riuscire più a sostenere i propri compiti. 
      
      Queste storie familiari, inoltre, contengono sempre dei traumi antichi o
      recenti: lutti, separazioni, trasferimenti, fallimenti economici,
      tradimenti, eventi incomprensibili e improvvisi, tentativi emancipativi
      andati a vuoto, frustrazioni, conflitti, castrazioni, umiliazioni,
      vergogne non metabolizzate. L’aspetto che invariabilmente, in tutte
      queste storie, è evidente agli occhi di un osservatore o di un terapeuta
      è che ciò che appare incrinato e compromesso è proprio il passaggio
      dell’individuo tra il mondo familiare e quello extrafamiliare-sociale,
      un passaggio - un ponte crollato - che non consente più gli
      attraversamenti che in precedenza sembravano più agevoli tra i due mondi.
      L'individuo “cade” o “recede” all’interno di una
      monoappartenenza che coincide con la propria storia familiare divenuta però
      una sorta di "storiellina" semplificata, insufficiente nel
      raccontare il mondo o parti essenziali di esso. L’individuo (e la sua
      famiglia) non maneggiano più i codici socio-culturali e si vedono
      costretti a raccontare una storia molto riduttiva di se stessi e della
      realtà circostante 
      Le ultime generazioni, dal canto loro, tentano di raccontarsi un’altra
      storia, la propria storia, una storia che disperatamente tenti di
      conciliare l'appartenenza alla propria pesante tradizione familiare ed i
      propri desideri emancipativi al di fuori del mondo familiare. Ma questo
      tentativo può segnare l’inizio del disagio allorché la capacità di
      comprensione e auto-terapeutica dell’individuo risulti carente o
      impossibilitata a svolgersi.
      
      Ma se la possibilità di raccontare/si le vicende critiche e
      contraddittorie può già condurre ad un certo sblocco e ad una maggiore
      consapevolezza, occorre dire che ogni famiglia possiede per fortuna ben
      altro catalogo di storie paradigmatiche, strategiche e positive, che
      ugualmente continuano ad essere generalmente taciute e celate alle
      generazioni successive. 
      
      Come mai? Semplicemente si è perduto il senso profondo dell'utilità di
      questo dispositivo umano. Occorre dunque provare a recuperarlo. 
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
        
      
        
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