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OBESITA’, EPIDEMIA DEL TERZO MILLENNIO, INTERPRETAZIONE DELLA PSICOGENESI

di Mariantonietta Fabbricatore

 

1. INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni stiamo vivendo un paradosso costituito dal fatto che metà della popolazione mondiale soffre e muore di fame mentre l’altra metà soffre e muore per le conseguenze della sovralimentazione. Tra le conseguenze più importanti dei consumi alimentari eccessivi sono da considerarsi condizioni come l’obesità ed il sovrappeso. Attualmente l’obesità è stata riconosciuta nel novero delle malattie ed è stata definita “una patologia cronica multifattoriale a componente multigenica sulla quale intervengono fattori ambientali in grado di determinarne l’espressione clinica, la cui manifestazione più evidente è rappresentata dall’aumento del peso corporeo, dovuto ad un eccessivo accumulo del tessuto grasso di deposito”. (1) Quindi l’obesità è una condizione patologica nuova, da un punto di vista filogenetico, ed è opinione comune che stia per diventare uno dei primi cinque problemi di salute pubblica. Infatti in numerosi studi scientifici condotti sull’argomento è stato dimostrato che il sovrappeso e l’obesità sono condizioni che causano un incremento significativo del rischio di morbosità per ipertensione, dislipidemia, diabete di tipo 2, patologia cardio-vascolare, ictus, calcolosi biliare, patologia osteo-articolare, sleep apnea e altre patologie polmonari, tumori dell’endometrio, della mammella, della prostata e del colon (2). Negli Stati Uniti il sovrappeso e l’obesità sono stati definiti la seconda causa di morte “potenzialmente prevenibile”, infatti è stato dimostrato che la diminuzione del peso corporeo in soggetti in sovrappeso e obesi riduce il rischio di diabete di tipo 2 e patologia cardiovascolare, è stata rilevata anche la riduzione della pressione arteriosa sia in soggetti ipertesi che normotesi, della glicemia indipendentemente dal livello basale ed anche è stato registrato un decremento dei valori ematici dei trigliceridi e del colesterolo totale. D’altro canto è certo che valori di peso corporeo superiori alla norma sono associati ad incremento di tutte le cause di morte. (3) Il continuo aumento negli indici di prevalenza del sovrappeso e dell’obesità si stà registrando a partire dagli anni ‘60, sia nel sesso maschile che in quello femminile. I dati sono attualmente allarmanti anche nella popolazione giovane che sembra essere una categoria particolarmente a rischio. Negli ultimi 10 anni in Italia la percentuale di soggetti in sovrappeso ed obesi è salita al 54,9% nella popolazione adulta con età uguale o maggiore a 20 anni (4). I dati di prevalenza registrati in Italia sono sovrapponibili a quelli rilevati nel Nord America ed in Europa. L’aumento del peso corporeo quindi è un evento esplosivo che ha raggiunto un incremento del 50% negli ultimi 5-7 anni. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene che l’obesità stia diventando un problema globale, tanto che è stata coniata al riguardo l’espressione di “epidemia globale”. Infine è stato stimato che il persistere del trend attuale, entro qualche decennio, porterà tutti gli abitanti del mondo industrializzato ad essere obesi. (2).Tale situazione rappresenta un fatto nuovo ed allarmante e per questo motivo si è costituita, il 10 Marzo 1995 a Bruxelles, la International Obesity Task Force (IOTF) per creare una rete internazionale di esperti con il compito di mettere a fuoco il problema e sviluppare un consenso sulle azioni da programmare. Infatti il costo socio-economico dell’obesità rappresenta un problema di estrema attualità per la gestione della salute pubblica (3). Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nello studio delle complicanze dell’obesità, è anche migliorata la conoscenza delle strategie di prevenzione e trattamento di questa condizione. Tuttavia, nonostante i successi teorici, non è stato ottenuto un controllo efficace sull’incidenza dell’obesità a livello della popolazione. Infatti le conoscenze sulla fisiopatologia dell’obesità sono ancora oggi incomplete e sembrano essere coinvolti diversi fattori: sociali, comportamentali, culturali, fisiologici, metabolici e genetici. Recentemente proprio a questi ultimi fattori genetici si è dedicata molta attenzione in quanto nei casi di obesità si sono osservate associazioni familiari e genetiche, il che ha fàtto ipotizzare la presenza di una predisposizione individuale. Tuttavia, anche se gli studi sull’ereditarietà indicano che il 70% circa della variabilità del peso corporeo umano è attribuibile a fattori genetici, non è possibile che i geni siano i soli responsabili dell’aumento dell’obesità poichè il pool genetico non si è modificato in maniera significativa negli ultimi 20 anni, mentre l’incidenza dell’obesità ha subito un incremento superiore al 30% nello stesso periodo. (5) Allora si è pensato che alcuni fattori comportamentali possano contribuire significativamente alla genesi dell’obesità e tali fattori, a differenza di quelli genetici, sono suscettibili di correzione. Tuttavia l’approccio terapeutico basato sui fattori ambientali e sulla modificazione delle abitudini alimentari e l’aumento dell’attività fisica, si è dimostrato inefficace. Infatti molti soggetti obesi riescono a ridurre il peso corporeo ma la maggior parte di essi non mantiene il calo ponderale per periodi superiori a qualche mese o un anno.(6-7) E allora il perchè sia così difficile trattare l’obesità nella pratica medica quando è così semplice teoreticamente rimane ancora un quesito senza risposta e tale condizione patologica è ancora oggi ritenuta non curabile o necessitante di un trattamento continuativo per tutta la durata della vita. Infatti il maggior problema, nel trattamento dell’obesità, è mantenere il calo ponderale ottenuto e le ricadute sono forse il fattore più importante nel fallimento della terapia. Ma quali sono le forze che conducono alla ricaduta? (8) Per tutti gli esseri viventi mangiare è una necessità vitale; mangiare e bere sono pulsioni naturali attraverso le quali l’ organismo riceve l’energia e il nutrimento che è incapace di sintetizzare. Mangiare e bere però non sono solo atti fisiologici ma possono essere considerate esperienze psicofisiche, infatti per la psiche essi rappresentano un’esperienza, ovvero l’appagamento di un desiderio. Il cibo quindi è utilizzato dagli esseri umani primariamente per la nutrizione, ma questo uso è solo il primo tra molti. Esiste da sempre anche un uso non alimentare del cibo legato ai costumi sociali, culturali e simbolici che derivano dalle concezioni della vita, dalle credenze, dai valori, dai gusti che caratterizzano una determinata società. Se è vero che la nutrizione si pone come una necessità derivante dalla fisiologia umana, è anche vero che le risposte a questo bisogno sono condizionate dal contesto socio-culturale e possono essere considerate risposte sociali e culturali. Inoltre non si può trascurare il fatto che nella quasi totalità dei casi l’obesità non dipende da fattori organici ma si presenta collegata ad una alterazione del comportamento alimentare le cui origini andrebbero ricercate nella sfera psichica. Infatti solo l’uomo, proprio perchè usa il cibo anche per finalità diverse da quelle nutritive, sperimenta la condizione dell’obesità che è sconosciuta tra gli animali, anche tra i primati, ad eccezione di quelli che vivono in cattività. Pertanto in questi ultimi anni stà diventando sempre più evidente il fatto che occorre affiancare alla dietoterapia un trattamento psicologico mirato ad individuare e rimuovere le cause che rendono difficile per il paziente assumere le giuste quantità di cibo e mantenere il suo peso su valori vicini alla norma.(9) Quindi nella sovralimentazione capire il “perchè” di tale comportamento è di importanza fondamentale e tentare di capire le ragioni del paziente può aiutare nel cambiamento di alcune di queste e dei pensieri che spingono a sovralimentarsi, d’altra parte è evidente che ignorare le ragioni della sovralimentazione non porta alla sua scomparsa ed alla fine si assiste al fallimento anche della dieta meglio strutturata.Per far fronte a questa emergenza medica, dopo decenni durante i quali la risposta ottenuta dal soggetto in eccesso ponderale era essenzialmente una prescrizione dietetica, si sono sviluppate strategie che pongono al centro del processo terapeutico l’individuo in eccesso ponderale valutando i suoi aspetti psicologici e comportamentali. Pertanto le tematiche relative al comportamento alimentare disfunzionale sono state oggetto di diversi studi e ricerche in ambito psicologico che hanno cercato di individuare i tratti di personalità e gli stili relazionali collegati ad un comportamento alimentare disfunzionale. I principali modelli psicologici: psicoanalitico, relazionale sistemico, comportamentale e cognitivo, da punti di vista differenti hanno descritto le possibili cause eziopatogenetiche e gli interventi terapeutici per l’obesità.2.1 L’impostazione psicodinamica-psicoanalitica.La psicoanalisi ha offerto importanti contributi all’interpretazione del comportamento alimentare alterato rapportandolo alle diverse fasi del ciclo vitale. Secondo i primi modelli interpretativi della impostazione psicodinamica, si nasce immaturi e dipendenti dalla figura materna, durante il primo anno di vita il bambino, attraverso la fase orale dello sviluppo psicosessuale, trova piacere ed entra in contatto con il mondo principalmente con la bocca, considerata la prima zona erogena. L’atto della suzione rappresenta la prima espressione della pulsione sessuale e il seno materno è considerato il primo oggetto attraverso il quale si prova piacere. Tramite la suzione del seno viene soddisfatto il bisogno fisiologico di nutrimento ma si provano anche le prime emozioni e si fanno le prime esperienze di soddisfazione e di insoddisfazione, di piacere e dispiacere. Pertanto un individuo che abbia provato, durante questo primo periodo dello sviluppo definito “orale”, un piacere intenso e indisturbato nel contatto con il cibo, nell’età adulta non ricorrerà, di fronte alle difficoltà della vita, alle soddisfazioni orali come unica modalità da contrapporre alla sofferenza e per provare piacere. Viceversa, se l’appagamento delle pulsioni orali è stato frustrato, sarà favorito l’instaurarsi di comportamenti nei quali saranno osservabili delle modalità di funzionamento tipiche dello stadio orale. Pertanto, secondo questo modello teorico, il ricorrere al cibo sarebbe la principale strategia di adattamento di

 

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