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LO
SCAMBIO LINGUISTICO IN BAMBINI CON SINDROME DI DOWN
Simonetta
Salvatori
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CODIFICHE
In
base a quanto descritto, abbiamo trovato i seguenti tipi di prompt:
A.
Prompt linguistico che è una domanda o un’esortazione finalizzata ad
elicitare nel bambino la produzione di un’azione o di un verbo che
espliciti l’azione. La risposta del bambino può essere appropriata alla
richiesta dell’adulto oppure non esserlo.
ES
1: Adulto: “ come fa questo?” oppure ”fammi vedere come fa questo”
(prompt di richiesta di esplicitazione di un verbo che indichi
l’azione).
1.1.
risposta bambino: “vola”(risposta adeguata alla richiesta).
1.2.
risposta bambino: il bambino fa volare l’aereoplano (risposta adeguata
ma non sottoforma di linguaggio).
1.3.
risposta bambino: “aereo” (risposta inadeguata perché non corrisponde
alla richiesta dello sperimentatore).
B:Prompt
linguistico che è una domanda o una esortazione finalizzata ad elicitare
nel bambino la produzione di un nome (denominazione) o di un
attributo/qualità attorno all’oggetto di riferimento. La risposta del
bambino può essere appropriata alla richiesta dell’adulto oppure non
esserlo.
ES
2:Adulto: “chi è questo?” oppure “mi fai vedere chi è questo?”.
2.1.
risposta bambino: “orsetto” (risposta adeguata alla richiesta).
2.2.
risposta bambino: mostra l’orsetto (risposta adeguata non di tipo
linguistico).
2.3.
risposta bambino: “salta” (risposta non adeguata. Il bambino infatti
ha prodotto un verbo al posto di un nome).
Abbiamo
individuato anche i Turni 0, ossia tutti quei casi in cui il bambino
risponde alla richiesta dell’adulto rimanendo fermo o non facendo nulla.
Data l’esigua produzione linguistica di questi bambini, abbiamo deciso
di accorpare in una unica categoria le risposte linguistiche e
quelle che corrispondono ad un’azione vera e propria, riservandoci in
uno studio successivo una ulteriore valutazione più specifica di questi
aspetti. Abbiamo usato la sigla AZI per indicare il prompt dell’adulto
fornito nell’esempio A e DEN il prompt dell’adulto così come
riportato nell’esempio B. Allo stesso modo la risposta del bambino è
stata classificata come AZI o come DEN .Una volta individuati i prompt
linguistici e le relative risposte del bambino, abbiamo cercato momenti
particolarmente salienti nei quali ci fosse una interazione e quindi una
maggiore concentrazione di enunciati espressi dall’interlocutore e
mirati soprattutto alla elicitazione di risposte di tipo linguistico.
Per ottenere una misura di queste sequenze abbiamo immaginato una
configurazione simile ai format individuati da Bruner (1993) che abbiamo
chiamato “formati d’interazione”. Per codificare i formati
d’azione sono stati considerati i seguenti indici:
1. Numero
di sollecitazioni linguistiche formulate dall’adulto e mirate ad
ottenere una risposta del bambino.
2. Tipo
di oggetto usato nell’interazione .
3. Completezza
( o incompletezza) del formato d’interazione calcolata in base al numero
di risposte adeguate e congruenti da parte del
bambino.
4. Numero
di elementi di novità introdotti dal bambino durante il formato
d’interazione.
Questi
elementi sono stati utili per capire se e quanto il bambino abbia
interagito efficacemente e sia stato capace di modificare il formato
d’interazione in base alle proprie esigenze comunicative.
RISULTATI
Da
una prima osservazione si evince che i prompt che l’adulto rivolge
al bambino sono molto pochi se paragonati al numero totale di enunciati
prodotti dall’adulto stesso durante tutta l’interazione.Soltanto
nell’interazione dei bambini con la mamma notiamo un maggior numero di
prompt rispetto agli altri contesti.Nell’insieme questi risultati
potrebbero indicare una rigidità della sperimentatrice nel sostenere la
conversazione ed un’attenzione rivolta principalmente alla preparazione
del setting, come dimostra il fatto che il maggiore numero di enunciati
sia stato formulato proprio nel contesto di gioco di finzione
Nel contesto di riconoscimento dell’oggetto (contesto 1) notiamo che
Michele usa prevalentemente risposte di tipo verbo o azione, mentre Simone
ha un numero maggiore di risposte di tipo denominazione. Anche se in
generale si nota una equipollenza della modalità in base alle capacità
individuali del bambino, è significativo rilevare una cospicua presenza
di tuni 0.Nel contesto di gioco di finzione (contesto 2) vediamo che
i prompt più usati sia per Michele che per Simone sono quelli che
elicitano risposte di tipo verbale o azione.Questo potrebbe indicare che,
in una situazione come il gioco di finzione, in cui la sperimentatrice era
interessata soprattutto al compimento di azioni stereotipate, il bambino
abbia appreso lo scopo dell’interazione e si sia adeguato alla richiesta
dell’adulto, producendo più risposte che elicitavano un’azione.Per
quanto riguarda il contesto di gioco libero (contesto 3) sembrano esistere
differenze in base al tipo di interlocutore. Nel corso di interazione con
lo sperimentatore si verifica una presenza poco cospicua di tentativi di
coinvolgere il bambino. Nel caso in cui il bambino interagisce con la
mamma invece, si nota la presenza di un numero visibilmente maggiore di
prompt linguistici che potrebbero rilevare una maggiore spinta alla
comunicazione da parte dell’interlocutore/genitore, nel dettaglio
notiamo che in una situazione meno stereotipata come è il gioco libero il
bambino si sforza di produrre un maggior numero di nomi rispetto a
contesti in cui preferisce usare verbi o azioni.Interessante è osservare
il numero di turni 0, ossia di non prosecuzione del bambino al prompt
fornito dall’adulto, che è simile sia con la mamma che con la
sperimentatrice. Questo dato potrebbe venir ricondotto alla scarsa capacità
linguistica del bambino comunque si accompagna alla patologia,
principalmente nel contesto di interazione con la mamma in cui le
richiesta di elicitazione linguistica sono più frequenti.
CONCLUSIONI
Nel
complesso questi risultati ci portano a concludere che l’interazione
avvenuta con la mamma sia stata per i bambini più stimolante e ricca di
spunti, rispetto a tutte le altre interazioni. Per contingenza si intende
la capacità dell’adulto di proseguire l’interazione centrandola sugli
stimoli introdotti dal bambino.Sembra che lo sperimentatore adotti uno
stile prevalentemente non contingente in entrambi i contesti. Questo
atteggiamento conferma i dati già discussi ( stereotipia della
conversazione) ed è particolarmente presente nel contesto di gioco di
finzione nel quale troviamo un numero elevato di formati incompleti ed un
numero poco consistente di elementi di novità. Probabilmente la
sperimentatrice non era interessata a proseguire l’interazione
introdotta dal bambino, ma anzi richiedeva implicitamente una cieca
risoluzione del compito, senza l’introduzione di elementi di variabilità.
A parte ciò non bisogna dimenticare che il compito della sperimentatrice
era di portare a termine una serie di compiti chiesti al bambini,
sia di ripetizione di sequenze, come nel gioco di finzione, sia di
denominazione, come nel gioco di riconoscimento.L’interesse della
sperimentatrice nel proseguire le interazione proposte dal bambino era
perciò quasi nulla. Le mamme sostengono un numero quasi totale di
elementi di novità introdotti dal bambino, mentre la sperimentatrice
tende a ignorare tali iniziative.La mamme tendono a sostenere
l’interesse spontaneo dei bambini.Questo risultato farebbe ipotizzare
che le mamme dei bambini Down abbiano la capacità non mettere in atto
cambiamenti che potrebbero alterare l’andamento dell’interazione.
continua
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